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cultura dell'immagine e della parola

L’Imaginarium del Dottor Gilliam

L’Imaginarium del Dottor Gilliam

Ogni desiderio comporta delle scelte. Ogni ambizione ti mette davanti a un bivio. Da una parte c’è un percorso complicato: quello che porta all’illuminazione, a una presa di coscienza riguardo a te stesso e quindi al successo. Dall’altra parte c’è la via più semplice, quella che non ti richiede alcuno sforzo di comprensione e nessun rischio: la via della paura e dell’insicurezza. Quella che ti porta a perdere l’anima, e con essa i tuoi sogni. Così è la vita. E così è anche il nuovo lungometraggio firmato da Terry Gilliam. Con la sola differenza che le opere di Gilliam, rispetto alla vita, possono vantare un cast più carismatico, colori più sgargianti e prospettive più vertiginose. Scherzi a parte, la cifra caratteristica di questa nuova pellicola pare proprio la forte impronta introspettiva che il regista, qui anche in veste di co-sceneggiatore, ha voluto dare alla storia e al suo dispiegarsi. Come è proprio del suo cinema, Gilliam ci porta dentro mondi favolosi e immaginifici, popolati di personaggi bizzarri e situazioni paradossali. La novità è che questa volta tali mondi non sono cosa altra da noi. Sono prodotti da noi, sono dentro di noi. Anzi, a voler ben vedere, questi mondi siamo noi. Non a caso, la via d’accesso che ci permette di raggiungerli non è una soglia, bensì uno specchio: lo strumento per eccellenza della riflessione e dello sguardo su se stessi.

Non è difficile vedere in Parnassus una sorta di autobiografia artistica del suo autore, che dall’inizio della propria carriera non fa altro che cercare di realizzare desideri cinematografici sempre più mirabolanti. Un coraggio che forse gli varrà l’immortalità, cui inizialmente ambisce anche il personaggio principale di questa pellicola, ma che allo stesso tempo lo espone a rischi sempre più grandi e a tonfi sempre più clamorosi. D’altra parte, anche la sfida col “demonio” è una costante per Gilliam. Sia che esso si manifesti in forma di disastro produttivo (vedi la gestazione interrotta di The Man Who Killed Don Quixote) o che prenda la forma del lutto per la morte di un amico, nella fattispecie il bravissimo Heath Ledger, il cui ruolo nel film è stato salvato grazie all’intervento dei “tre moschettieri” Depp, Farrell e Law, ma anche grazie a una capriola della sceneggiatura che in fin dei conti si rivela un valore aggiunto per la pellicola (di cui umanamente avremmo fatto tutti volentieri a meno, ovviamente).

Il risultato di questo processo introspettivo è un lavoro assolutamente esagerato, nel bene e nel male. Un film che tracima in continuazione fuori da ogni argine, sia esso visivo o narrativo. Un sogno a occhi aperti difficile da abbracciare con lo sguardo e impossibile da cogliere razionalmente. Intendiamoci: non che questo sia un male. Gilliam ci ha abituati a un cinema iper-semiotico ed esteticamente sovraccarico. In fondo, un certo tipo di esagerazione è proprio quello che lo spettatore cerca nei suoi film. E comunque, a differenza di opere meno riuscite come Tideland o I fratelli Grimm e l’incantevole strega, qui lo sfilacciarsi della trama è compensato da una buona tenuta del fattore emotivo. Trattandosi di un aspetto puramente soggettivo, posso solo fare riferimento alla mia esperienza personale, senza pretesa che essa valga come regola. Fatto sta che negli ultimi dieci minuti di proiezione, quando il caos incalza, non ho trovato difficoltà ad aggrapparmi alla potenza delle immagini, sostituendo al raziocinio la pelle d’oca.

Curiosità
Per le scenografie, Gilliam ha dichiarato di aver attinto a numerosi libri sui simboli ermetici, cercando di rappresentare ogni tipo di simbolismo misterioso mai inventato. Agli appassionati, non sfuggiranno però anche le numerose citazioni dell’immaginario dei Monty Python, riprese e rese ancora più spettacolari grazie alle nuove tecnologie. Tra le tante suggestioni, si potrebbe annoverare anche un costume da donna indossato dal personaggio di Anton, che sembra rimandare alle classiche “donnette inglesi” portate in scena da Terry Jones.

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