Festival di Roma: diario, 19 ottobre
La qualità la vedi nel coraggio. Nell’altruismo e nella fantasia. Così cantava Francesco De Gregori pensando alle caratteristiche d’eccellenza che avrebbe dovuto avere un giocatore di calcio. Qualità che ben si sposano anche ai Festival di Cinema. Lo so, il paragone è azzardato, ma girovagando nello spazio chiuso e protetto dell’Auditorium della Musica, capita spesso di chiedersi ma quali caratteristiche dovrebbe avere una manifestazione cinematografica per essere considerata un grande evento internazionale. Glamour, film provenienti da tutto il mondo, interesse della stampa internazionale?
Il Festival di Roma dovrebbe averle tutte (anche se va detto che giornalisti della stampa estera non se ne vedono, se non qualcuno dalla Svizzera italiana) eppure si sente che qualcosa manca. Forse quello che manca è proprio il cinema. Il concorso e le sezioni collaterali propongono sporadicamente delle belle opere, ma la qualità, sia spettacolare che culturale, è assai bassa. Qualche anno fa, a Venezia, chiacchierando con un selezionatore, si diceva che ci sono anni buoni e meno buoni, che spesso i selezionatori sono vittima semplicemente di un periodo di vacche magre creativo che produce poco cinema interessante che viene litigato dai sempre più numerosi festival del mondo. Vero, ma qui a Roma c’è un pessimismo dilagante che fa sospettare che sotto sotto ci sia qualcosa di più.
Facciamo un esempio, stupido e ironico: gli accreditati ai festival, generalmente ottengono una borsa con tutto il materiale (gadget, comunicati stampa, brochure promozionale). Qui quest’anno la borsa è particolarmente prestigiosa, perché realizzata con delle stampe di manifesti di film famosi. Va specificato che ad un Festival Internazionale si accreditano addetti ai lavori e cinefili incalliti, quelli che generalmente litigano su quale sia il miglior film della storia del cinema tra Quarto potere, Sentieri Selvaggi o 2001 Odissea nello spazio. Queste belle borse invece riportano film del calibro di Ancora 17 anni con Zac Ephron, Come un uragano, Agente Smart, Yes Man, L’insolito caso di Benjamin Button. La borsa più rara e più litigata, non a caso, è quella di Gran Torino. Gadget bellissimo che in negozio costerà probabilmente un occhio della testa, quindi ringraziamo tutti. Ma è possibile che non ci sia resi conto dello scarso appeal (Eastwood a parte) dei titoli proposti per il pubblico cinefilo… Ecco quindi la provocazione. Vedendo i film in sala, viene da chiedersi: ma i selezionatori del Festival sono gli stessi che hanno selezionato i titoli delle borse?
Il concorso infatti non sta proponendo grandi titoli, ne grandi sorprese, semmai tanti sbadigli. Up in the Air di Jason Reitman, che in Italia uscirà a gennaio con il titolo Tra le nuvole, è piaciuto pressoché a tutti, è vero, ma questo non basta per un’intera kermesse. E poi Reitman a Roma aveva già vinto due anni fa con Juno, per cui siamo certi che la giuria, presieduta da Milos Forman (Qualcuno volò sul nido del cuculo, Amadeus), non avrà certo un compito facile. Applaudito anche il film fuori concorso Le concert di Radu Milhaileanu, con Melanie Laurent, la Shoshanna di Bastardi senza gloria, che nonostante alcune ingenuità, è una commedia davvero commovente e divertente.
Per trovare altri titoli interessanti, quindi, è meglio rivolgere lo sguardo alle sezioni collaterali, soprattutto Extra curata da Mario Sesti: documentari, film sperimentali, progetti che spesso sorprendono. Bello Bunny and the Bull dell’inglese Paul King (uno che certamente ama Micheal Gondry) che ha saputo riconciliare il pubblico di appassionanti con il cinema. Ma perché non è in concorso? Comunque, come si diceva, ci sono ancora 4 giorni per cambiare idea. Domani tocca a L’uomo che verrà, il nuovo film di Sergio Diritti (quello di Il vento fa il suo giro) che ha rinunciato alla sezione Orizzonti di Venezia per essere qui in concorso… per dirla alla Dickens: “grandi speranze”.
A cura di Sara Sagrati
festival ::