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Scherzi del cuore e del destino

Scherzi del cuore e del destino

Si, ok, qualcuno dirà che fa sempre le solite cose e, soprattutto, dice le solite cose (la battuta «Dio è un grande arredatore di interni» è vecchia quanto Prendi i soldi e scappa – Take the Money and Run, 1969, anche se quella di «Dio è gay» non è così abusata) ma forse il bello del cinema di Woody Allen è proprio questo. Una sorta di bellezza del limite, perché, in fondo, ogni film di Woody Allen rimescola le solite ossessioni e turbolenze in salsa più o meno comica o più o meno tragica, senza sconvolgere più di tanto schemi prefissati. Allen torna a Manhattan, chiusa la curiosa e altalenante parentesi europea (tra muse e musi da copertina e storie più o meno azzeccate), e tra le “mura di casa” realizza questo Whatever Works – Basta che funzioni, commedia cinica e divertente sulla vita di un paranoico e ipocondriaco scienziato in pensione. Ma in mezzo al pessimismo cosmico che attanaglia la vita pseudogeniale e misantropica di Boris Yellnikoff, ex brillante fisico alla Columbia University, e perfetto alter-ego alleniano interpretato da Larry David (sconosciuto in Italia ma celebre negli States come mente delle serie tv Seinfeld e Curb Your Enthusiasm), s’intravede nel finale uno spiraglio di felicità, un pizzico di fiducia nei confronti del destino e pure un occhio di riguardo nei confronti del prossimo (anche se è sempre ritenuto un vermetto da calpestare o strapazzare, anche se è deficiente e ignorante), perché il perdente di cui tutti ridono per tutta la durata del film, poi, alla fine, tanto perdente non è. O meglio, il perdente dell’inizio ha forse imparato a pareggiare e a credere nella fortuna.

Whatever Works – Basta che funzioni è un film costruito sulla parola, tra gag verbali e umorismo alleniano (sono tutti coinvolti nella morsa di pessimismo e criticismo, dai gay ai politici, da dio alla famiglia, dai bigotti perbenisti ai cliché che vanno di moda) e sui dialoghi intrapresi da Boris con la macchina da presa/pubblico, a stabilire fin da subito i livelli di coinvolgimento (per lo spettatore) e il grado di spavalderia e superbia del personaggio centrale che crede per davvero di essere il protagonista di un film, ovvero il film della sua vita. Boris è così borioso da mettere in scena la propria disperazione per respingere gli attacchi delle sue crisi di panico, e così lo vediamo, dopo un prologo di cinque minuti, in cui fa la sintesi della sua vita, alle prese con una vita vissuta da scontento: è zoppo (perché una notte si è buttato giù dalla finestra tentando di suicidarsi, ma gli è andata male ed è finito su un ombrellone, rompendosi una gamba e divorziando dalla moglie ricca che lo manteneva), è insoddisfatto (perché da quando la moglie lo ha lasciato, è andato a vivere da solo in una casa fatiscente ed è pure diventato allergico al sesso), è culturalmente provato (perché l’unica esperienza intellettiva che porta avanti, oltre a discutere con gli amici, è l’insegnamento degli scacchi ai bambini, che si rivelano, per lui, delle frane mostruose).

Ma il cinema di Woody Allen, oltre alla comicità e alla critica della o delle società, è soprattutto un cinema che riflette l’importanza o l’ingombranza del destino. E quindi, ecco Boris nel bel mezzo di una serie di fortunati o sfortunati (a seconda dei punti di vista) eventi clamorosi che lo vedono alle prese con la graziosa, ma disastrosamente ingenua e stordita, Melody St. Ann Celestine (la filiforme e carina Evan Rachel Wood, già brava in The Wrestler), fuggita dal Mississippi e capitata proprio sotto casa sua, una storia d’amore inaspettata (proprio con Melody), la conoscenza di una suocera petulante (Patricia Clarkson, vista in Vicky Cristina Barcelona) e varie ed eventuali sorprese rocambolesche. Allen gioca con il suo film, strutturandolo come una commedia teatrale (prologo, primo atto, secondo atto, conclusione) e lascia poco spazio allo spettatore per gustarsi la visione di un’immagine o di uno scenario (Manhattan s’intravede qua e là e di sfuggita, a differenza dei set dei film precedenti, per esempio quelli di Match point, Sogni e delitti – Cassandra’s Dream o di Vicky Cristina Barcelona, che assumevano un ruolo fondamentale nell’economia del film). Qui Allen sembra più concentrato a far ridere con ritmo e a trovare la giusta morale della sua storia. E alla fine ce la fa. Perché il suo cinema, nonostante il suo ripetersi con tenerezza, il suo ritornare puntuale sui soliti argomenti, è ancora in grado di divertire e intrattenere. E non è proprio una cosa da poco.

Curiosità
Il ruolo di Boris Yellnikoff era stato inizialmente scritto per Zero Mostel. In seguito alla morte di Mostel, Woody Allen aveva messo da parte la sceneggiatura per poi ripensarci recentemente e decidere che valeva la pena realizzarla. «Avevo bisogno di un attore dotato di un senso dell‘umorismo adatto a interpretare il personaggio e ho pensato che Larry avrebbe fatto al caso mio, sono un suo grande fan e ha già lavorato in due dei miei film». Larry David, per Allen, ha recitato in Radio Days e New York Stories.

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