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Un’orbita fedele alla linea

Un’orbita fedele alla linea

Bisogna ammetterlo: quando le note e le parole di Io che amo solo te (una delle belle canzoni di Sergio Endrigo) accompagnano le tenerissime scene finali di Cosmonauta è difficile trattenere l’emozione. Qualcosa sembra averci toccato in profondità, epidermicamente parlando, con una dolcezza un po’ amara che non ci saremo mai aspettati di provare per una commedia adolescenziale un po’ vintage, quale in fondo è. Ed è allora che capiamo tutto, anche quei dieci minuti di standing ovation che questo film, firmato dall’esordiente Susanna Nicchiarelli, ha riscosso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, strappando anche il premio per la categoria Controcampo Italiano.

La pellicola prende ispirazione dall’evocativa storia che è stata la corsa alla conquista dello spazio negli anni Cinquanta: da una parte i cosmonauti sovietici (su tutti Jurij Gagarin), dall’altra gli astronauti americani. E’ raccontando le leggende di quegli anni che la Nicchiarelli riesce a infarcire il film di una serie di riferimenti storici e politici senza mai cadere nell’ideologia, ma mostrando le passioni militanti di allora come delle tendenze purissime e ingenue verso l’ignoto, troppo lontane nel tempo (e nello spazio) per apparire umane. Come fa Wolfgang Becker in Good Bye Lenin!, anche qui la regista riesce a riportare in vita l’anima più innocente della fede politica: la sua non è un operazione nostalgica, anzi, è attraverso una disincantata malinconia che la Nicchiarelli si specchia e costringe noi stessi a farlo. La parabola adolescenziale della protagonista (interpretata dalla bravissima Miriana Raschillà), proprio come una navicella lanciata nel cosmo, sarà destinata a scontarsi con i meteoriti dell’età adulta: i primi amori, i primi tradimenti, le prime illusioni. Anche in posti insospettabili (per allora), le sezioni del PCI, emergeranno elementi che freneranno gli ideali (il machismo dei militanti comunisti, ad esempio) ma non impediranno alla corsa il raggiungimento del proprio obiettivo. E nonostante tutto, per dirla con le sue parole, la luna sembrerà “piena”: per quanto lontana (e per giunta conquistata dagli americani), sarà finalmente compresa nella sua chiarezza.

A parte qualche perdonabilissima caduta della struttura narrativa (alcune evoluzioni della storia appaiono un po’ obbligate) il film si impreziosisce quando si intervallano filmati di repertorio della corsa allo spazio. Un Sergio Rubini travolgente nel suo ruolo semiserio (nel cast c’è anche un gradito ritorno, quello di Angelo Orlando) e alcune musiche piacevolissime (rigorosamente anni Sessanta) rilette da Max Casacci, contribuiscono a fare il resto. In definiva Cosmonauta appare un’opera prima lucida e sensibile, perfino di ampio respiro. Forse perché, oltre che a raccontare in un modo totalmente “pop” l’esplorazione dei microcosmi sentimentali di una adolescente, dal film fa anche capolino un’Italia smaliziata, scevra da violenza anche nei momenti più aspri di scontro politico e generazionale. E’ questo che in fondo fa più male, sembra suggerirci la Nicchiarelli: sentire la lontananza, quasi cosmica, da quel mondo di una gioventù che oggi non sente più bisogno di esplorare ed esplorarsi. “Senza più neanche”, direbbe il poeta, “l’intenzione del volo”.

Curiosità
In sala il film è preceduto da uno spassoso cortometraggio d’animazione della stessa Nicchiarelli, intitolato Sputnik 5, con l’intero equipaggio di una navicella spaziale sovietica formato da topi, un cane e insetti vari.

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