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Venezia, i film:
A Single Man

Così come già accaduto l’anno scorso per The Wrestler, che poi vinse il Leone d’Oro per miglior film, anche quest’anno la Mostra “gioca” (di proposito) col programma, inserendo un outsider di lusso proprio per la chiusura del concorso. Proprio quando le carte sembravano già sul tavolo, ecco arrivare A Single Man, opera prima dello stilista americano Tom Ford, che dopo la presentazione alla stampa di oggi, entra di diritto (e meritatamente) nella corsa per il Leone d’Oro.

La storia, tratta dal romanzo di Christopher Isherwood (che lo dedicò all’amico – scrittore Gore Vidal), narra di un professore universitario inglese, George Falconer, interpretato da Colin Firth, e del suo difficile rapporto con la perdita. La perdita è quella dell’amato compagno Jim, morto in un incidente stradale, una storia d’amore durata 16 anni, finita però nel modo più drammatico. Ed è da quel momento che il professore sprofonda in una solitudine di ricordi e di memorie, che lo portano lentamente all’isolamento emotivo più totale. Solo l’amica di sempre Charley (una Julianne Moore mai banale), e un giovane studente (l’ottimo Nicholas Hoult), cercano di scuoterlo, riuscendo nell’intento alla fine di “salvarlo” e di risvegliarlo da una morte spirituale (e fisica), che più volte il professore cerca di portare a termine. Ma l’impotenza e l’angoscia della perdita si avvertono per tutta la storia: lunghi silenzi si alternano a primi piani e flashback, che mixati ad un presente di sofferenza, ritraggono al meglio uno stato d’animo universale, sopportato qui con rigore e dignità straordinaria.

La vera sorpresa però è quella di Tom Ford. Lui che ha risollevato il Gruppo Gucci, di cui è stato innovatore e direttore creativo indiscutibile negli anni Novanta, lui che è stato, ed è, icona di stile e di eleganza per lo star system internazionale, oggi realizza un sogno maturato da tempo, quello di diventare anche autore raffinato. Un’opera solida e profonda la sua, una regia perfetta, quasi come loro erano i suoi capi. Tutto nel film sembra impeccabile, dagli abiti alla musica, dalla scenografia alla fotografia. Certo, in alcuni momenti Ford sembra far riferimento al melodramma, ma senza abusarne mai. Lavora benissimo con il colore visivo, rappresentandoci stati come la depressione con toni più uniformi e piatti, e di felicità con sfumature invece più intense e vivaci. Ricrea in maniera quasi maniacale le atmosfere del romanzo, ma dirige con sensibilità e maturità.
Cosa dire poi di Colin Firth, semplicemente meraviglioso. Una delle sue migliori performance (forse quella più alta), per un attore, che è sempre stato presente, non solo in opere corali (pensiamo a Shakespeare in Love o a Il paziente inglese), ma anche in commedie più popolari (Love Actually, Il diario di Bridget Jones), dove invece era una delle pedine fondamentali. Il suo shining recitativo emoziona davvero, pervadendosi e conquistandoci.

Ora il problema per la Giuria sarà davvero grosso, anche perché un Presidente come Ang Lee non potrà ignorare completamente un film così poetico e intenso. Lui che ha già parlato della diversità, vincendo (Brokeback Mountain fu il primo Leone d’Oro del regista taiwanese), potrebbe davvero fare la differenza all’interno della giuria. Potrebbe arrivare un premio all’opera, sacrificando, come già fatto l’anno scorso per Mickey Rourke, il premio al miglior attore. Senza dubbio Colin Firth si meriterebbe, così come Viggo Mortensen (The Road) e a Michael Shannon (My Son, My Son, What Have Ye Done?) di vincere. La gara per contendersi l’ambita Coppa Volpi per miglior attore è quindi più che mai aperta, ma chissà che non arrivi qualcosa di più importante.

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