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Venezia, i film:
Soul Kitchen

Ecco sbarcare alla Mostra il Fatih Akin che ti aspetti, che diverte e convince tutti. Soul Kitchen, presentato in concorso, è l’ulteriore conferma (e testimonianza) visiva e narrativa di quanto il regista tedesco, figlio di genitori turchi, sia considerato oggi come uno dei più importanti talenti dietro la macchina da presa. Lo scenario è nuovamente quello della sua tanto amata Amburgo, ma in questo caso tutto ruota intorno ad un ristorante, il Soul Kitchen appunto, e dei suoi personaggi.

C’è Zinos innanzitutto (il bravissimo Adam Bousdoukos), protagonista assoluto della storia, il ristoratore di origini greche, preso a combattere tra fornelli, discutibili fritture e mille problemi. Intorno a lui c’è la sua ragazza, Nadine, biondissima e un po’ snob, partita per Shangai in cerca di lavoro, c’è il fratello Illias, appena uscito di prigione in libertà vigilata e gestore improvvisato del locale, c’è la cameriera – artista Lucia (interpretata dalla bella Anna Bederke, che nella realtà è anch’essa regista ed è stata allieva di Akin), c’è un ritrovato (purtroppo per lui) ex compagno di scuola (Neumann), desideroso di impossessarsi del locale. Impossibile poi non citare altri personaggi “minori”, dallo chef genio e sregolatezza al marinaio barbuto, dalla fisioterapista all’agente del fisco, che sono il contorno perfetto per un piatto tutto da gustare.

Ma la pellicola racconta soprattutto di amicizia, di amore (non solo per la cucina), di rinascita, ed è soprattutto uno splendido spaccato (personale) del regista, che prima di farsi conoscere, si pagava davvero gli studi all’Accademia lavorando nei locali di Amburgo. Il risultato che ne consegue è quello di un film straordinario, brillante. Tutto funziona a meraviglia: il cast, corale ed affiatato, la scelta della musica (Akin ne è un grande appassionato), perfetta e coinvolgente, la regia, sentita e intelligente. È una commedia travolgente, e allo stesso tempo fortemente intima. Anche se sarà molto difficile vista la giuria, il Premio Osella per la miglior sceneggiatura, potrebbe andare proprio ad Akin, che dopo l’Orso d’Oro (2004) per La sposa turca e il Gran Prix di Cannes (2008) per la sceneggiatura di Ai confini del paradiso, completerebbe un tris storico. Il cibo dell’anima non è mai stato così bello da vedere.

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