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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia – 7 settembre

Matt Damon e Steven Soderbergh al photoshoot di The InformantNei lunghi balconi di casa, dove praticamente mio papà a creato una serra, una volta c’era una pianta che appena innaffiata, subito riprendeva a vivere, con le foglie tutte dritte. Quasi eccitata da quell’acqua. Pensavo a questo mentre bagnavo i fiori della casa veneziana. Magari con l’acqua si riprendono come quella pianta, visto che sono passati sei giorni da quando sono arrivato e avrei dovuto bagnarli dopo due (lo dice il biglietto, scritto dalla padrona, attaccato al frigorifero). Ma un po’ d’acqua è servita pure a me per spegnere le fiamme.

Ecco come sono andate le cose. Tutta colpa del film che appartiene alla categoria “la fila c’è per uscire prima, non per entrare” e cioè Between Two Worlds di Vimukthi Jayasundara. Intendiamoci, a parte il fatto che ho capito molto poco (ignorante io, per carità), il film l’ho visto tutto, ma fino a questa proiezione, quest’anno, non avevo ancora assistito al remake di Fuga dalla sala. E sono stato accontentato. Terminato il film cingalese ho cercato subito qualcuno che potesse illustrarmi una via d’uscita, un nuovo modo di guardare alle cose, un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia di vita. Invece niente. Tutti erano già andati a sbronzarsi. Così, in cerca di riscatto, ho provato a sedare il mio desiderio di cinema con un altro film, uno con una storia da risollevare l’animo, tipo “il film che ti fa andare a letto felice”. E ho scelto il vietnamita Adrift di Bui Thac Chuyen. Ma anche questa volta non è andata come speravo. E ho pensato di darmi fuoco. Ma poi è intervenuta l’acqua e così non l’ho fatto. Tutto sommato è stato un bene.
Considerato che al mattino, aiutato anche dai fiori che avevo innaffiato, ho centrato un filotto niente male: The Informant di Soderbergh, con uno straripante Matt Damon, film che andava inserito in concorso tanto è significativo, il film di Rivette, 36 vues du Pic Saint Loup con Castellitto, che rientra nelle visioni curiose, Una soluzione razionale di Jorgen Bergmark, che è molto di più di quello che speri (un film cioè che non banalizza, ma, anzi, racconta l’amore sotto diversi punti di vista e con diversi registri) e Lebanon, di Samuel Maoz, che ha superato ogni tipo di aspettativa.

Lebanon, che film! Tutto dentro un carro armato. Pazzesco. Mai visto. Una visione emozionante. Una visione che mi ha suggerito, ancora, quanto sia fondamentale e necessario, per chi fa cinema, avere qualcosa da raccontare. Questo film è la conferma che un certo tipo di cinema vive ancora nell’esigenza di esprimere, di portare fuori dal proprio mondo la verità.
E il pensiero, immediatamente, è tornato ai film di Moore e Stone. Ma ho pensato anche al film di Solondz, a quello di Chereau, a Lourdes della Hausner e al film di Yousry Nasrallah, che in questa Mostra mi sta facendo un po’ da spiritual guidance.

Domani è il giorno della Comencini. Il primo giorno che ho parlato con il mio compagno di stanza francese, lui mi ha detto: «there’s new Cristina Comencini’s movie». Pensavo nemmeno la conoscesse. Poi il film di Grant Heslov con Clooney, Ewan Mc Gregor, Kevin Spacey e Jeff Bridges e un’altra delle mie scommesse, l’iraniana Shirin Neshat con Women Without Men. Aspetta e spera.
Comunque i fiori sembra si siano ripresi. Magari li bagno un’altra volta prima di andare via. L’acque è importante.

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