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Il futuro è davvero nelle nostre mani?

Il futuro è davvero nelle nostre mani?

Lo sguardo crucciato di Nicolas Cage nei panni di intrepido scienziato enigmista ci perseguita ormai da qualche film a questa parte (vedi i “bruckheimerani” Il mistero dei templari – National Treasure, 2004 e il sequel Il mistero delle pagine perdute – National Treasure: Book of Secrets, 2007, entrambi di Jon Turteltaub). Eppure, nonostante le scarse aspettative, il personaggio convince, così come convince questa nuova pellicola di Proyas, regista impegnato in una costante riproduzione di un futuro che disturba lo spettatore, destabilizzandone le certezze e aprendolo a dubbi apocalittici che sprofondano in anfratti filosofico-religiosi.

Cesellando il girato secondo le regole d’oro del blockbuster hollywoodiano, il regista di Io, Robot (2004) riesce a confezionare una storia pulita, con un buon bilanciamento tra elementi sci-fi, catastrofici, thriller e d’azione e mai scontata. Un film, insomma, di grande sensibilità ed equilibrio, se solo ci si immerge in quella “sospensione dell’incredulità” che ci porta ad accettare un finale scenografico e insieme precipitoso. Seguendo un immaginario viaggio dell’eroe, l’uomo e padre comune (docente di astrofisica al MIT, però!) e il figlio con difficoltà di udito (ma predestinato, naturalmente!) abbandonano il loro mondo ordinario (fatto di coincidenze senza spiegazione scientifica – vedi la morte della moglie) per essere travolti nello straordinario mondo dei numeri, dei sussurri extraterrestri e delle tempeste solari (che attestano la validità del determinismo come teoria gnoseologica e scientifica del mondo). La serie infinita di set up (l’iniziale discorso sulla possibilità dell’esistenza di vita su almeno uno dei miliardi di mondi presenti nell’universo), matematicamente raccolti nei calcolati pay off; il ghost del protagonista (la morte della moglie); il correlativo oggettivo (la pietra nera segnalante il contatto con un altro mondo); il conflitto interiore dell’uomo di scienza, sospeso tra il credere nella casualità o l’aver fede nel determinismo, tra l’accettare l’impotente ignoranza e il cedere al bisogno di conoscenza… Mattone su mattone, questi elementi innalzano un’architettura filmica precisa e incontestabile; una struttura narrativa sapientemente orientata allo spettatore, capace di provocare le sue paure più recondite e il suo innato l’istinto alla ricerca della fonte del sapere. Una capsula del tempo, contenente le “previsioni” sul futuro tradotte in immagini dai bambini degli anni Cinquanta, diventa il vaso di Pandora fonte del male più presuntuoso dell’uomo: la conoscenza. Diventa anche l’annuncio delle “capsule” spaziali del futuro. Le sequenze di numeri da interpretare (già viste e riviste in molta altra fiction) stimolano la curiosità di chi guarda e ascolta e ognuno, come si dice nel film, legge in essi quello che desidera leggervi – proprio come ogni spettatore legge a modo suo questa parabola sulla rinascita (con rimandi biblici all’arca di Noè e all’albero della vita e della conoscenza della Genesi) o sulla morte. Tutto dipende dallo spirito con cui si guarda al futuro.

Questo malamente tradotto Segnali dal futuro – titolo che accantona la vasta gamma semantica racchiusa nel Knowing originale – si rivela, perciò, al di fuori della sua scarsa veridicità scientifica, film sci-fi capace di creare forte empatia con il pubblico, sia giocando sul tema universale del rapporto padre/figlio (vedi la tag line “insieme per sempre”, mimata dai gesti dell’alfabeto manuale dei sordomuti o l’abbraccio finale di Cage/John col padre pastore), sia sollevando dilemmi imperituri, come quello del “tutto è già scritto”, questa volta coniugato finalmente sul piano del quotidiano e dell’ordinario, degli affetti e del sentimento morale.

Curiosità
Girato in Australia, il film annovera numerosi effetti speciali, tra cui spicca quello dello schianto aereo, filmato in un unico take al fine di dare allo spettatore l’impressione di vivere in prima persona la tragedia. A scrivere e dirigere la pellicola fu inizialmente chiamato Richard Kelly (Donnie Darko, 2001).

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