Addio a Fernanda Pivano
“Mi prese per mano, mi condusse alla sua tavola, mi fece sedere accanto a sé e mi disse in quel suo bisbiglio così difficile da capire finché non ci si era abituati:
«Raccontami dei Nazi».
Fu l’inizio di un’amicizia che non finì mai, perché la mia devozione continuò anche dopo la sua morte.”
Così Fernanda Pivano ricordava il suo primo incontro con Ernest Hemingway, avvenuto a Cortina più di sessant’anni fa. Chissà quanti oggi, quella devozione la provano per Fernanda, che se n’è andata nella clinica milanese in cui era ricoverata da tempo. E’ grazie a lei se in Italia, nello scorso secolo, è arrivata gran parte della letteratura americana più interessante e innovativa. Già nel 1943 pubblica per Einaudi la sua prima traduzione, parziale, della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters, aiutata dal suo professore del liceo, Cesare Pavese. Poi sarà la volta di Hemingway, Bukowski, della beat generation (Ginsberg, Kerouac, Burroughs e tanti altri) e, più recentemente, di giovani autori come Jay McInerney, Bret Easton Ellis, David Foster Wallace, Chuck Palahniuk e Jonathan Safran Foer.
Il suo sorriso e la sua passione per la lettura e la musica (“Si dice che Fabrizio sia il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano?” aveva detto), rimarranno indelebili. I funerali si svolgeranno venerdì a Genova, nella basilica dell’Assunta in Carignano, la stessa che aveva ospitato la cerimonia funebre del suo amico Fabrizio de Andrè.
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