Persi nello spirito del Sud
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Sia ben chiaro, questo non è un film che potete limitarvi a vedere. Questo è un film col quale dovrete comunicare. E non potrebbe essere altrimenti: il documentario diretto da Andrew Douglas ruota intorno a una contesto ben preciso – quella del Sud degli Stati Uniti – e all’identità culturale che esso genera. Ma se quell’identità non la condividete nemmeno in parte, e se siete italiani questo è un dato di fatto, allora con lei ci dovrete dialogare, mettendola a confronto con la vostra e provando a stabilire dei confini, dei punti di contatto e delle intersezioni. Posso solo provare a intuire cosa possa provare un americano, sia esso del nord o del sud degli Usa, di fronte a questa pellicola. Probabilmente per lui la lettura di questi fotogrammi è molto più facile, immagino che nei volti e nei paesaggi ripresi lui possa riconoscersi, o quantomeno possa riconoscere la verità che sta dietro agli stereotipi ai quali è abituato. Per noi che stiamo dall’altra parte dell’oceano, invece, questa visione è un percorso onirico, un sogno ad occhi aperti che riverbera inquietudini e domande universali, alle quali però abbiamo risposto in tutt’altro modo.
Il Sud che scopriamo è un precipitato di povertà e disagio. Ma è anche un humus fertile (“un’atmosfera” si dice nel film) da cui, oltre alla disperazione e allo stordimento, si generano mitologie, poesia e cultura. C’è chi per sfuggire alla noia e alla mancanza di prospettive ha scelto di stordirsi con alcol e droghe, chi ha provato la via del crimine ma anche chi ha semplicemente scelto di inventarsi storie che gli tenessero compagnia. Tutti hanno provato a cercare Dio. Il lavoro di Douglas, in fondo, non è altro che una lunghissima carrellata lungo l’intero spettro della spiritualità espressa di queste persone. Una spiritualità sanguigna, violenta, fatta sempre di eccessi e grandi depressioni. Una spiritualità che è gemella dell’altra grande protagonista del film, la musica. Nella definizione di ciò che è il Sud, il peso delle canzoni è talmente forte da spingere il regista a incarnarle, scegliendo di portarle in scena attraverso la fisicità dei loro interpreti. Per persona che ci parla del suo dio, infatti, un musicista ci canta la sua anima. La magia di questa pellicola sta tutta nel fatto che anche se a separarci da entrambi ci sono la geografia, le tradizioni, la lingua e la storia, quel canto e quelle preghiere trovano lo stesso la strada per arrivarci al cuore.
A cura di Marco Valsecchi
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