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Commedia leggera sulla maternità

Commedia leggera sulla maternità

È una commedia sui buoni sentimenti questa Baby Mama di Michael McCullers, veterano, in qualità di sceneggiatore, del Saturday Night Live e di film del calibro dei comicissimamente kitch e politically scorrect Austin Powers. Un cocktail di gag simpatiche, molte delle quali improvvisate e interpretazioni brillanti e fuori dai ruoli, con un cast di tutto rispetto, dalla protagonista Tina Fey alla sua spalla Amy Poehler, fino all’invecchiata Sigourney Weaver e agli habitué della commedia Steve Martin e Greg Kinnear.

L’idea centrale di questo godibile, seppur prevedibilissimo, film è semplice e scontata: diventare mamma cambia la vita. O meglio, bisogna essere disposte a cambiare vita per potere diventare mamma. Le portatrici di questa verità universale non potevano che essere due attualissime rappresentanti degli antipodi della donna d’oggi: quella in carriera, prossima ai quaranta, single ed emotivamente repressa e quella poco istruita, infantile e un po’ volgare, ma in fondo spontanea e genuina. Il tutto è complicato dal desiderio di maternità della prima, che tenta invano di rimanere incinta, ricorrendo a inseminazioni artificiali e adozioni, per finire con l’affittare l’utero di una madre surrogata, e dalla ricerca di una facile fonte di reddito per la seconda, per nulla votata alla maternità. È così che, per la seconda volta dalla memorabile avventura di Juno / Ellen Page (id., Jason Reitman, 2007), i due opposti si attraggono, qui per il tramite di una dispendiosa agenzia di madri surrogate, diretta da un’anziana e “feconda” mamma, interpretata dalla Weaver. Le storie delle due donne si intrecciano, fino all’inevitabile scontro suggellato dall’osmosi risolutiva. La farcitura è un corollario di subplot poco approfonditi di storie d’amore inconsistenti e vite professionali ai limiti del credibile, con il presidente della società in cui lavora la protagonista, uno Steve Martin in versione guru, che chiede comicamente insistenti contatti visivi / spirituali alla remissiva vice-presidente neo-eletta Fey.

Il tema della maternità e dei conflitti ad esso correlati, pur essendo il filo rosso di tutto il film, è, in fin dei conti, lasciato in background, rendendo difficile la lettura di una precisa visione dell’argomento da parte del regista. Si sorride molto, questo è vero, ma nulla è paragonabile alla già citata pellicola indie che porta la firma di Diablo Cody o al divertentissimo, eppure serio Molto incinta (Knocked Up, Judd Apatow, 2007) che stimolano la riflessione e strappano persino qualche lacrima nel finale, quando l’ empatia tra spettatore e personaggi è massima. Dopo una frizzante apertura, infatti, Baby Mama delude le aspettative, con turning points risicati e una chiusura sbrigativa alla “… e vissero tutti felici e contenti”. L’arco di evoluzione della protagonista è, per di più, scarso e superficiale, come del resto vuole la commedia, ma qui l’argomento trattato richiederebbe forse un trattamento a parte. Anche i conflitti sono tutti esteriori e stigmatizzati, persino quello tra la ricerca della realizzazione professionale e la nascosta voglia di maternità e questo dispiace un po’. Ci si sarebbe aspettati di meglio dall’irriverente “Sarah Palin” della campagna elettorale Usa 2008.

Curiosità
La “madre surrogata” del film, Angie, nella realtà non avrebbe i requisiti per esserlo: le agenzie statunitensi per la pratica della maternità surrogata esigono, infatti, che la donna il cui utero viene “affittato” abbiano portato a termine almeno una gravidanza.

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