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Tribunali a confronto

Come a voler dar ragione a quel monito che afferma: “non giudicate e non sarete giudicati”, sul nostro banco degli imputati arrivano i due tribunali televisivi della televisione italiana, Forum (Canale 5, Rete 4) e Verdetto finale (Rai Uno), macinatori di grandi successi Auditel per tutta la stagione e adesso in replica nel pallido daytime estivo. Due format piuttosto diversi sulla carta, ma accomunati dall’idea di utilizzare la diatriba giuridica come pretesto per portare in scena i piccoli melodrammi della quotidianità. A un primo livello di analisi, infatti, balza subito all’occhio come la maggior parte delle storie proposte tanto dal programma Mediaset quanto da quello Rai abbiano alla base delle schermaglie amorose fittamente intrecciate, degne della penna di Liala (anche se Forum ha una propensione molto più spiccata ad ammiccare ai fatti più bizzarramente pruriginosi).

L’innovazione su cui la Rai puntava nel 2008 al momento di lanciare Verdetto finale stava tutta nella radicale diversità d’impostazione del processo: se infatti Forum riproponeva lo schema delle orazioni giudiziarie della prima antichità classica, la nuova trasmissione voleva far familiarizzare lo spettatore con il processo all’americana, quello che per anni abbiamo visto nelle serie e nei film, rendendo vincolante in tale ottica il verdetto della giuria popolare e scatenando pungenti controversie tra gli avvocati pronti a scatenarsi in arringhe sferzanti. Dal punto di vista dello spettatore, però, ciò che rende distanti i due programmi è una mera questione di stile.

Quello di Verdetto Finale, ahimé, non brilla certo per la capacità di accattivarsi l’audience. Veronica Maya, molto più presente sulla scena rispetto all’omologa Rita Dalla Chiesa, ha il compito di cucire i vari segmenti di un processo francamente troppo lungo per le dinamiche televisive. Il suo tono non si accende mai, è sempre impeccabilmente e studiatamente impostata nel far emergere i vizi delle condotte dei due contendenti. I dibattimenti, soprattutto quello iniziale tra gli imputati, hanno la teatralità tipica del dramma borghese.

La scelta dei presidenti della giuria popolare, di suo, ha il solito tocco nostalgicamente anacronistico di molta programmazione Rai (è così che si rispolvera la signora Orsomando o Wilma De Angelis portatrici in seno alla giuria di una fantomatica “saggezza ancestrale”). Sembra quasi di sfogliare le pagine di Cuore: Il melodramma prevale sulla legge. Al povero vegliardo giudice viene concessa una minima parte in cui c’è il tempo solo per accennare alla complessità legislativa che coinvolge ogni causa. Alla fine, lo spettatore medio tende a credergli soprattutto per fede, tutto proteso a scoprire cosa avrà deciso il popolo (un popolo poco popolare, senza particolari colori di dizione o di fisionomia).

Dall’altro lato abbiamo invece la corazzata Forum, prossima ormai alle nozze d’argento col proprio pubblico. Nel tribunale Mediaset non mancano di certo colore e genuinità: il privilegio di restare entro le righe è concesso solo alla signora Dalla Chiesa, che padroneggia bene l’alternanza tra ragioni e passioni. Il popolo, pur non avendo voce in capitolo circa il verdetto finale, ha uno spazio consistente nella dinamica del programma. Gli imputati hanno la facoltà di argomentare in prima persona davanti al giudice, mentre al pubblico viene chiesto esprimersi con grande libertà sfiorando livelli di argomentazioni che ci auguriamo rappresentino solo provocazioni ben costruite allo scopo di tenere il ritmo sempre alto.

Nonostante le trame paradossali e i personaggi boccacceschi. il profilo dell’italiano medio pare meglio restituito rispetto a quanto fatto dalla concorrenza. C’è più senso di autenticità, sebbene appaia quasi scontata la spettacolarizzazione preconfezionata del prodotto. È la stessa Italia, sordiana e verdoniana, che incontri sull’autobus o mentre fai la spesa, la stessa che poi alle urne dà la configurazione politica al paese. Una dinamica di rappresentazione che, in fin dei conti, rappresenta la vera forza di Forum e – azzarderemmo – il motivo per cui pare destinato a sopravvivere al suo più giovane rivale.

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