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Scenari fiabeschi, ma poche emozioni

Scenari fiabeschi, ma poche emozioni

Il sottotitolo italiano al film di Gabor Csupo, I segreti dell’ultima luna, sottrae alla contea di Moonacre quell’alone arcano conferitogli invece dal titolo inglese, per cui la valle diventa un’incubatrice di atavici segreti. Segreti di cui, però, il film in sé è, per il resto, carente.
In un gioco di opposizioni manichee, tipiche del genere fantasy, corroborate in modo evidente dagli stessi nomi dei personaggi (Merryweather è il bel tempo, ovvero il bene; De Noir, di contro, indica la notte, cioè il male), la pellicola manca di quel pizzico di empatia, capace di trascinarci dentro al racconto e di farci immedesimare nella sua protagonista, condividendone curiosità, slanci di coraggio e timori.

Si potrebbe, forse, dare la colpa proprio al carattere della giovane Maria, una ragazzina spigliata e smaliziata, che sembra aver messo a tacere, per certi versi, il “fanciullino” che è in ognuno di noi e che ancora si annida nei capricciosi personaggi adulti, pronto a sprigionarsi nel corso del film. Nel lungometraggio si avverte, per altro, l’assenza di un suo antagonista forte e ben caratterizzato, che ostruisca seriamente il percorso dell’eroina. Il capo della famiglia ostile dei De Noir, infatti, non viene percepito come un pericolo, poiché Maria non lo teme, nemmeno quando è messa in prigione o minacciata di morte.
Per quanto riguarda, invece, il mistero e la tensione che dovrebbe catturare lo spettatore per renderlo partecipe della ricerca delle perle, essi svaniscono già dopo la prima mezz’ora di film. Tutto è chiaro da quando la protagonista apre il manoscritto. Il film, che pure si lascia guardare, svela, infatti, in anticipo i personaggi e la trama della fiaba, senza timori di dire troppo al pubblico, o con l’intento, forse, di aiutare i più piccoli a capire l’intreccio.
Così, sappiamo già in partenza, per via di un parallelismo assai poco raffinato e sicuramente ridondante, che lo zio di Maria è innamorato di Loveday e che il camaleontico Tim Curry – che ormai sembra solo cercare ruoli secondari, che ne sminuiscono la genialità – è il padre della donna, discendente della principessa della Luna. Rolf, il protettivo cagnolone dagli occhi di sangue (l’aiutante), è, dal canto suo, facilmente riconducibile al leone nero donato dall’antenato dei De Noir allo sposo della figlia. Per cui non ci sono sorprese.
Persino l’ultima scena delude un po’ lo spettatore, che invece si sarebbe atteso – sempre che non avesse letto il libro da cui il film è tratto – una magia finale ben diversa.

A gratificare il pubblico non rimarranno allora che gli effetti speciali. Il film, insomma, vive più che altro dell’avvicendarsi delle luci e dei colori della scenografia e dei costumi, questi ultimi originalissimi e labirintici, e su macchiette, che ricordano, qua e là, qualche personaggio divertente già visto al cinema – il cuoco stile Oompa Loompa, la tata con problemi di digestione (da cui il nome Miss Heliotrope) e il maggiordomo un po’ matto. In definitiva, Moonacre si rivela, da una parte, sicuramente accettabile come favola per bambini, una favola moderna, con una protagonista intraprendente e sveglia – proprio come i ragazzini d’oggi – che evidenzia gli infantili comportamenti degli adulti, facendo ridere i più piccolii. Dall’altra, non brilla di originalità e spessore, presentando gli stilemi classici dell’avventura fantasy senza troppa fantasia e con poco pàthos.

Curiosità
Il film è tratto dal romanzo che ha ispirato la scrittrice J.K. Rowling per le ambientazioni della fortunatissima serie di Harry Potter. Il regista, Gabor Csupo, è di origini ungheresi ed è stato il primo animatore dei Simpson.

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