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cultura dell'immagine e della parola

Genna De Profundis

Genna De Profundis

Mutuando la formula del surrealismo magrittiano potrei dire: questo non è un romanzo, anzi, questo non è neppure un libro (nel senso di manufatto massmediale atto al consumo). Per tale motivo non mi sentirei di consigliare la “lettura” di Italia De Profundis a chicchessia.
Ma, a ragione oppure no, l’ultimo lavoro di Giuseppe Genna è sugli scaffali delle librerie portando con sé un fumo denso di illusioni. Questo è il surrealismo: automatismo psichico puro, in questo caso magari non sempre psichico, e sicuramente neppure puro, ma di sicuro automatismo, in tutte le sue accezioni. Genna sembra uno di quegli scrittori che non può fare a meno di parlare di sé e di parlare di sé che parla di sé, e in questo gioco di riflessioni diventa uno di quegli scrittori che non butta via niente, fino a ripetersi. In questo “libro” (uso i diacritici nell’accezione di Frasca) c’è di tutto: vecchie parole dell’autore stesso e parole altrui, insulti gratuiti e “la” prosopopea, l’estremo autobiografismo e l’estrema finzione. Un’altra illusione che però non svela l’inconscio, ma ne reifica i misteri. Un libro è fatto di fogli e ogni foglio è un velo.

Queste sono le supposizioni. Nei fatti le uniche due sezioni scorrevoli (leggibili) sono quelle in cui l’autore/personaggio recita il de profundis del nostro bel paese, ma fondamentalmente sono anche le più prive di contenuti, benché ricche di informazioni: infarcite di luoghi comuni che suonano pleonastici riferiti a quell’immenso luogo comune semi galleggiante che è Italia. Però sono divertenti, strappano un’amara sghignazzata.
Il resto è pesante. Pesa fisicamente, dello stesso peso di Giuseppe Genna. È l’«io» che scarta il «me». È il peso di ogni parola che non è messa lì a caso, così come dovrebbero fare i buoni scrittori, ma che Genna sedimenta, rende monolitica, una parola che non verrà mai sollevata. È illeggibile. Va sicuramente riletto. Va sfogliato, appunto, come strati di epidermide morta che dopo lo sfregamento cadono a terra. E cosa resta? Nulla. È questo l’io?

Giuseppe Genna scrive Giuseppe Genna e canta la liturgia dei defunti. La recita per sé. Sentire il silenzio del mondo. Sentire il silenzio dell’Italia. Giungere al silenzio di Giuseppe Genna. Noi non abbiamo voce in capitolo. Questa non è un’opera aperta. Lei non si apre a noi e noi non riusciamo ad aprirci a lei. C’è qualcosa di assolutamente sbagliato in questo non-libro. Forse questa cosa sbagliata è proprio Giuseppe Genna, carnefice e vittima, veleno ed antidoto.
L’autore ha detto che probabilmente dopo questo libro non scriverà più niente. Il percorso taumaturgico della scrittura è concluso. Gli auguriamo quindi di aver raggiunto la pace interiore e l’assoluta imperturbabilità.
Shantih shantih shantih

Dopo tutte queste elucubrazioni, per lo più senza fondamento, che sembrano tutto fuorché una recensione non posso scappare al giudizio finale. Che votazione dare a un libro che non è un libro? Tra dieci numeri a disposizione e l’imbarazzo della scelta, la scelta cade sul 7. Il numero del dubbio, dell’inganno e della menzogna, ma anche numero della spiritualità e del misticismo, numero allusivo che contiene veli che devono essere svelati per arrivare all’illuminazione. Questo è Italia De Profundis.

L’autore
Giuseppe Genna (1969) è autore di numerosi romanzi fra cui Nel nome di Ishmael (2001), Dies Irae (2006) e Hitler (2008). E’ anche fondatore del webzine Carmilla.

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