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Una nazione depressa

Una nazione depressa

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Prozac Nation è uno degli esempi più clamorosi di film disperso. Girato nella primavera del 2000, presentato nei festival tra il 2001 e il 2002, è stato acquistato dalla Miramax, pronta a farne un film di grande successo. Risultato? Negli anni successivi è uscito solo in Scandinavia e Israele ed è divenuto famoso sul web solo per la prima scena di nudo di Christina Ricci. La distribuzione in America è arrivata, in dvd, nel 2005, mentre quasi ovunque ha continuato a essere inedito. Pare che la Miramax abbia trovato troppo sconvenienti tematiche come la depressione legata alla società americana.

In ogni caso, premesso che chi è interessato unicamente al topless della Ricci suggeriamo di guardare i primi due minuti e risparmiarsi il resto della pellicola, cerchiamo di capire perché Prozac Nation sia diventato per molti un piccolo cult. Il film è tratto dall’autobiografia bestseller di Elizabeth Wurtzel, che negli anni Ottanta era una talentuosa giornalista preda della depressione, mentre oggi è una celebre e polemica opinionista newyorkese. Regista è Erik Skjoldbjærg, norvegese conosciuto soprattutto per l’Insomnia (1997) originale e poi autore di film per lo più destinati al mercato nazionale. Skjoldbjærg si è evidentemente riferito a due film della fine dello scorso decennio come Ragazze interrotte (1999) e Requiem for a Dream (2000). Ma del primo è mancato il rigore e la solidità della sceneggiatura, del secondo la capacità di sperimentare dal punto di vista formale. L’inizio di Prozac Nation sembra infatti quello stereotipato di una fiction tv: la ragazza ribelle esce dall’uovo familiare e inizia una vita di sesso, droga e rock’n roll. Poi, quasi a sorpresa, il film si fa più interessante. Merito soprattutto delle interpretazioni di Christina Ricci e Jessica Lange (all’interno di un cast davvero ricco che conta anche su Jason Biggs, Michelle Williams e un gustoso cammeo di Lou Reed), che riescono a dare intensità a una trama altrimenti troppo piatta. Anche la regia di Skjoldbjærg migliora col passare dei minuti, osando qualcosa in alcuni momenti di psichedelia durante le crisi della protagonista.

Purtroppo però, quando il film sembra prendere la giusta piega, finisce. Quando la doppia personalità di Elizabeth, quella reale e quella procurata dai farmaci, lascia intravedere un’analisi psicologica che possa poi estendersi all’intera prozac nation del titolo, iniziano i titoli di coda. Come se Skjoldbjærg avesse avuto fretta di vedere il proprio film nelle sale. Cosa che, purtroppo per lui, non è avvenuta.

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