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Lotta senza plastica

Lotta senza plastica

Ormai dieci anni fa, i primi due film di Darren Aronofsky (l’indefinibile Pi – Il teorema del delirio e lo stravolgente Requiem for a Dream), avevano creato attorno all’allora trentenne regista newyorkese un’aura di culto, finendo per generare aspettative altissime attorno alla sua terza opera, che dopo sei anni di gestazione si è invece risolta nell’inconcludente e troppo pretenzioso L’albero della vita. Fortunatamente non abbiamo dovuto aspettare tanto per vedere il suo quarto film, una vera prova del nove per Aronofksy: un autore con delle buone idee che ha sparato tutte con le prime cartucce o un grande regista incappato in un errore di presunzione?

Per rispondere a questa domanda Aronofsky fa un passo indietro, mettendo da parte le sperimentazioni dei suoi primi film e realizzando al meglio quello che è l’obiettivo del cinema classico: raccontare una grande storia. In The Wrestler va a scavare in profondità, levando uno strato di plastica a tre livelli. Lo fa come già detto sul suo stesso cinema, lo fa su un mondo apparentemente plastificato come quello del wrestling, lasciando scoperta una realtà ben più cruda di quella fatta di finti pugni sul ring, lo fa infine su un attore come Mickey Rourke, liberandolo di un’apparenza fatta da rughe tirate e minuscoli chihuahua e accompagnandolo alla sua miglior prova forse dai tempi di A cena con gli amici (e sono passati 27 anni). Sono stati girati così tanti film su combattenti sull’orlo della sconfitta che viene difficile immaginare cosa si possa dire di nuovo che non sia già stato detto ad esempio da Toro scatenato o, più recentemente, da Millon Dollar Baby. Invece The Wrestler riesce sempre a essere convincente proprio per la semplicità della narrazione e la perfetta alchimia che si crea tra regista e protagonista. Aronofsky segue Rourke in ogni suo passo, gli mette la macchina da presa alle spalle e lascia che sia il suo corpo a parlare. Rourke, da parte sua, recita se stesso in una maniera travolgente. In fondo, il lavoro del wrestler non si scosta molto da quello dell’attore. Il suo palco è il ring, e una volta spente le luci e uscito di scena il pubblico, si ritrova solo a combattere con i propri fantasmi.

Oltre ad Aronofsky e Rourke, tutto funziona come deve in The Wrestler. Prima di tutto il resto del cast, con le due presenze femminili di Marisa Tomei ed Evan Rachel Wood. La prima, la cui carriera pareva incompiuta dopo l’Oscar nel 1992, ha finalmente riscoperto se stessa una volta superati i quarant’anni. La seconda si conferma invece una delle giovani muse del cinema indipendente, con un’innata capacità di trasformarsi da un’interpretazione all’altra. Fondamentali sono poi le musiche, per le quali il regista si è affidato ancora una volta a Clint Mansell (indimenticabile il main theme di Requiem for a Dream, ancora oggi utilizzato a più riprese per spot, trailer e quant’altro), che ha virato sugli anni Ottanta anche grazie al supporto di Slash, lo storico chitarrista dei Guns N’ Roses. Lo stupendo finale è poi accompagnato da un’inedito di Bruce Springsteen, perfetto suggello a un film che sarà difficile dimenticare.

Curiosità
Le scene sul ring sono state girate prima di un evento della ROH, una delle principali federazioni americane indipendenti di wrestling. Gli appassionati si potranno quindi divertire a riconoscere i cammeo di lottatori come Ron Killings, John Zandig e Nigel McGuinness. Anche l’attore che interpreta l’Ayatollah, Ernest Miller, è stato un famoso wrestler fino a pochi anni fa.

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