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Il pericolo dietro l’angolo

Il pericolo dietro l'angolo

Il nazifascismo appartiene al passato, le sue colpe sono espiate, la celebrazione delle vittime e la continua contrizione sono ormai superati, un nuovo regime, forti dell’esperienza tragica e dolorosa del passato, non ha alcuna opportunità di attecchire nella società di oggi. Questo è il sentire comune dei liceali tedeschi di una città di fantasia, riuniti nel laboratorio che dibatte per una settimana di Autarchia. Sono queste opinioni – attribuite ai ragazzi tedeschi ma facilmente adattabili ad altri paesi e circostanze – a suggerire al loro insegnante l’idea di sperimentare, insieme alla classe, il progressivo e inesorabile avvento di una nuova, apparentemente innocua, forma di totalitarismo scolastico.

È un esercizio di gruppo volto a livellare le differenze tra gli alunni, creando, attraverso la disciplina, uno spirito più coeso, solidale, un allineamento progressivo intorno a un sentire comune, dei simboli, dei gesti, un abbigliamento, un capo. Il film di Dennis Gansel si focalizza sul ruolo dell’insegnante – leader, votato e riconosciuto, a guida del gruppo e involontariamente artefice della degenerazione a scopo didattico di normali ragazzi di città. Le condizioni per la nascita di un regime sono sempre latenti e anche un insegnante progressista e di militanza anarchica può improvvisarsi, con successo, dittatore. In una Germania la cui complessità sociale affascina e richiama gli ambienti underground di certi scenari americani, si svolgono parallelamente le vite di tanti studenti, le cui diverse convenzionalità rappresentano l’esperienza di ragazzi qualunque. Studenti che, una volta riuniti insieme e indossata la camicia bianca, diventano l’Onda, movimento irresistibile stretto intorno al loro ignaro insegnante e allenatore di palla a nuoto, alla loro squadra, al loro comune senso di appartenenza.

La messa a punto del gruppo, nell’arco di soli sei giorni di scuola, è progressiva e mostrata con l’attenzione al particolare e alla trasformazione dei caratteri dei singoli protagonisti. Una gioventù profondamente ingenua ma istruita, in perfetta buona fede e piacevolmente coinvolta dall’esperimento, vittima della mancanza di riferimenti più che da quella di valori. I diversi protagonisti rappresentano anime diverse della società, ma il loro processo di adesione al gruppo è assolutamente verosimile, insieme al comprensibile beneficio positivo e alla sensazione appagante che scaturisce dalla comune appartenenza. Questa naturalezza e verosimiglianza inquietano per la loro vicinanza alla nostra, a qualsiasi attualità. Qual è il confine, il punto di non ritorno verso la prevedibile tragedia di sangue? Il film, tratto dall’esperienza californiana di Ron Joens, professore di storia californiano nel 1967, calza perfettamente alla realtà contemporanea della scuola tedesca, solo nella bellissima fotografia più spigolosa di quella italiana. Fa effetto pensare che nei giorni dell’uscita del film nelle – poche – sale italiane, un ragazzo abbia fatto strage dei compagni proprio in Germania. Nella pellicola il dramma è provocato dalla frustrazione del disincanto, dal necessario ritorno alla realtà. Allo spettatore restano gli interrogativi sul ruolo della scuola, il coinvolgimento dei valori, lo stato della nostra società, il proprio stesso comportamento in una circostanza simile. Impossibile non pensare all’Italia, al passato, ma soprattutto all’eventualità spesso evocata di scivolamento graduale verso un regime, che forse non ci ha mai abbandonato. Peccato che il film, che ha il suo quasi unico pregio nel messaggio che porta, viva nelle piccole sale d’essai finanziate dalla Commissione europea. C’è da sperare che abbia più successo nelle nostre scuole, per sentire cosa ne pensano, magari, gli studenti italiani.

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