hideout

cultura dell'immagine e della parola

Una risata e uno sbadiglio

Una risata e uno sbadiglio

Come può lo sceneggiatore di Batman Begins e soprattutto di Il cavaliere oscuro dare vita un film traballante, vuoto, stupido tanto nella trama quanto nei personaggi? C’è chi sostiene che Goyer sforni un film buono ogni cinque; chi sottolinea quanto le sue idee siano brillanti quando sviluppate in collaborazione con terzi; chi ritiene che si debba limitare a scrivere soggetti invece di improvvisarsi regista. Ognuna di queste teorie si dimostra calzante al profilo di questo regista-produttore tanto più attento alla confezione che all’intreccio fino a minarne la credibilità. Fotografia magnifica, inquadrature ben curate e ritmo serrato: un’ottima base per un horror visivamente accattivante. I riferimenti al misticismo ebraico in luogo di quello cattolico potevano essere uno spunto per fornire un prodotto diverso, che si discostasse dagli abusati temi dell’esorcismo e degli spiriti maligni. Anche il fatto che il nemico fosse un essere sui generis che lotta per farsi strada tra i viventi, invece del solito fantasma di un defunto, poteva essere il trampolino di lancio per un film elegante e d’effetto.

L’intento non era quello di realizzare una storia sanguignolenta, ma di raggiungere un pubblico giovane e non particolarmente avvezzo alle scene crude, senza perdere in incisività. Il risultato non è né una pellicola per famiglie né un pugno nello stomaco, ma un film dai temi forti come la sperimentazione sui bambini ad Auschwitz, affrontati con una leggerezza da teen movie di infima categoria. Un minestrone involontariamente comico che pare interminabile nonostante la durata limitata. Tra una risata e uno sbadiglio si sviluppa il crescendo di assurdità fino a un finale altamente prevedibile. Il variegato carnet di situazioni terrificanti, se supportate da una motivazione anche vaga o dalla forte carica emotiva, avrebbe fornito materiale per un film di tre ore. L’esito è invece un catalogo condensato di citazioni mal assortite, da Rosemary’s Baby all’Esorcista, passando per i terrori notturni alla Nightmare. Definire lacunosa la trama de Il mai nato è limitativo, come evidenzia il massacro immotivato dei amici della protagonista, che appaiono e scompaiono secondo necessità (vedi il fidanzato, perso nel limbo per mezz’ora). Problemi di montaggio? Non ci è dato saperlo. L’unica certezza è che non si tratta di uno di quegli horror che lasciano pieni di interrogativi ma visivamente appagati. La spiegazione delle vicende che si susseguono negli 87 minuti si può riassumere nell’espressione “plot device”.

Uno sprecato Gary Oldman tenta invano di risollevare le sorti di un film in cui gli episodi cruenti hanno giustificazioni futili e pretestuose, mentre il fisico perfetto di Odette Yustman è oggetto di attenzione quasi ossessiva nel misero tentativo di mascherare le falle e rendere più godibile la visione. La protagonista di Cloverfield passa il tempo in biancheria intima, troneggiando perfino sulla locandina, dove mette in mostra le incontestabili doti che suppliscono alle sue carenze recitative. Tutto quello che si salva è una serie di immagini buone al massimo per confezionare il trailer, che ha il merito di incuriosire l’ingenuo spettatore e di attirarlo nella rete.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»