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Un dio spaziale e altre leggende

Un dio spaziale e altre leggende

Un paio di premesse qui ci vogliono. La prima: Religiolus è spudoratamente e dichiaratamente un film a tesi. La tesi nella fattispecie riguarda il fatto che le religioni, nessuna esclusa, sono delle colossali balle e che, fomentando odio e credulità, porteranno l’umanità all’estinzione. La seconda: chi scrive concorda con questa affermazione, quindi questa recensione, per quanto non ingannevole, sarà comunque in parte influenzata dalle mie convinzioni di fondo. Detto questo, possiamo passare ad analizzare il film, diretto da Larry Charles, già regista del celeberrimo Borat, e interpretato (ma anche scritto e prodotto) da Bill Maher, stand up comedian molto noto e apprezzato negli Usa. Praticamente una specie di Luttazzi ma senza la censura italiana che gli impedisce di comparire davanti a più di un centinaio di persone alla volta.

Ufficialmente si tratta di un documentario, o quantomeno l’etichetta che gli viene applicata è quella. Si potrebbe parlare però più verosimilmente di un’inchiesta, dal momento che l’obiettivo dichiarato (a partire dalla locandina) è quello di far emergere “la verità”, ovvero la clamorosa malafede che sta alla base della professione di fede fatta da chiunque amministri un potere e la sostanziale dabbenaggine di chi il potere non lo ha, eppure si fa muovere da altri in nome di un dio. Detto in altre parole: dal primo all’ultimo minuto del film, Maher non fa altro che utilizzare le proprie armi, cioè l’intelligenza dialettica e una logica spietata, per mettere in crisi credenti di vario genere (dai capi religiosi, a quelli politici, agli uomini di spettacolo fino alla gente comune) portandoli a mostrare pubblicamente le contraddizioni in cui inevitabilmente inciampa chi si professa seguace di un dogma.

Il gioco riesce bene, su questo non si discute. Perché Maher è un comico acutissimo e perché lui e il suo team hanno saputo scegliere bene le situazioni in cui agire, alternando interviste realizzate in sedi istituzionali (una moschea, l’ufficio di un senatore) a situazioni decisamente più kitsch, come un parco dei divertimenti a sfondo biblico o un museo anti-evoluzionista. Le perplessità, se mai, vengono da un interrogativo che nessuno tra i produttori sembra si sia posto, ovvero: quale efficacia può avere un film del genere? Forse ben poca. Se già è dura spingere un credente a mettere in discussione la propria fede, figurarsi quanto lo può essere se si parte subito all’attacco e si opta per una linea di condotta assolutamente intransigente. Risultato previsto: il film se lo vedrà solo chi già la pensa come gli autori (e si divertirà parecchio). Gli altri continueranno a credere a quello che pare a loro, come pare a loro. O, molto più probabilmente, come qualcuno ha detto loro di fare.

Nota a margine
Tenendo conto della situazione in cui versa il nostro paese, fa abbastanza specie pensare che a spiegarci i pericoli dell’ingresso delle credenze religiose nella vita laica sia dovuto venire un americano. Posto che da noi nessuno avrebbe avuto i mezzi, e forse il coraggio, di realizzare un film così, c’è anche dire che, essendo gli Usa (cinesi permettendo) la più grossa potenza mondiale, forse è bene che i primi a preoccuparsi di questo problema siano loro. Tradotto all’atto pratico: se i loro governanti si fanno prendere la mano, siamo tutti spacciati. Se se la fanno prendere i nostri, mal che vada una povera ragazza se ne sta bloccata per diciassette anni in stato di incoscienza in un letto d’ospedale, nonostante abbia chiesto di essere lasciata morire in pace.

Curiosità
Il titolo originale della pellicola è Religulous, un gioco di parole tra religious (religioso) e ridiculous (ridicolo). Inspiegabile la scelta di tradurlo in Religiolus, che non vuol dire a sua volta nulla in italiano ma allo stesso tempo cancella anche il calembour inglese.

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