Sotto quel cielo
Berlino, giorno 4
Strano questo Festival. Un giorno sembra tutto mondanità e lustrini, poi ritorna serio per proporre della riflessioni sulla storia del ’900 e, proprio quando ti sembrava di aver trovato un tema comune tra i film, ecco che spunta tutt’altro. Questo terzo giorno di concorso ha infatti proposto 3 film completamente diversi.
Innanzittutto lo shock. Sally Potter, acclamata per Orlando e Lezioni di tango, porta in concorso un film che non è un film. Più che altro si tratta dell’idea di raccontare una storia attraverso delle interviste singole di fronte ad una telecamera. In pratica il tutto si svolge attraverso 14 faccioni (e che faccioni: Steve Buscemi, Judi Dench, John Leguizamo, Dianne Wiest e molti altri) che si alternano sullo schermo per parlare di uno spettacolo che non vedremo mai. Se fosse stato un mediometraggio di 45 minuti sarebbe anche potuto essere divertente, ma nella sua ora e quarantacinque minuti di durata, Rage ha battutto tutti i record di fuggi fuggi generale durante la proiezione stampa. Una vera e propria operazione da festival, che più che un Disperso, è destinato a essere un invisibile assoluto, da ricordarsi solo ed esclusivamente per la stupenda performance di Jude Law, in versione drag queen, che si aggiunge alla lista di attori che hanno vestito abiti da donna, tra cui Cary Grant (Ero una sposo di guerra), Tony Curtis e Jack Lemmon (A qualcuno piace caldo), Dustin Hoffmann (Tootsie), Robin Williams (Mrs. Doubtfire), John Travolta (Hairspray). Ma Jude Law è andato oltre, sfoggiando delle mise e una femminilità da far invidia a qualunque donna.
Poi la noia. Mammouth di Lukas Moodysson (Fucking Åmål, Together, Lilja 4ever) è l’ennesimo rifacimento del cinema di Innaritu e Arriaga. Le storia intrecciata dei membri di una stessa famiglia (padre, madre, figlia e tata) che, divisi per un viaggio di lavoro si ritrovano a fare i conti con le ingiustizie della contemporaneità. Ma alla fine nessuno impara niente e solo Dio impone il proprio volere divino a chi decide di sottostare alla sua volontà. O almeno questa è la morale che sembra zampillare da ogni inquadratura di questo film noioso, vecchio e ricattatorio.
Poi la sorpresa. Finalmente un gran bel film. Gigante, dell’esordiente Adriàn Binez, racconta la piccola ed emozionante storia di un uomo grande e grosso, ma troppo timido e ancora troppo bambino. Una regia pulita ed efficace, una sceneggiatura che funziona dalla prima all’ultima scena (forse penultima scena, ma l’errore si fa perdonare), un uso creativo e innovativo della musica heavy metal. Insomma una ventata di aria pulita: ad avercene di esordienti così nel nostro cinema.
Gigante è la cosa migliore che si è vista finora, Mammouth la peggiore e Rage la più inutile. In definitiva deve essere stata una giornata davvero intensa per la giuria che, essendo presieduta da Tilda Swinton, attrice lanciata da Sally Potter, potrebbe riservare delle sorprese.
A cura di Sara Sagrati
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