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Casa dolce casa

Casa dolce casa

Materia filmica interessante quella che ci propone Home. Un road movie al contrario, in cui è la strada che irrompe all’interno di una casa. Nell’inizio estatico e bucolico, la famiglia ci viene presentata unita e felice, quasi primordiale, dove sembra non essersi ancora insinuato il concetto di peccato originale. Esemplari in tal senso, le scene familiari in bagno, dove il corpo e la nudità promiscua vengono vissute con totale semplicità. L’apertura della strada porterà nevrosi, paura, sospetto e volontà di isolamento. Un film fatto di simboli e metafore che, per essere capito, ha bisogno di essere interpretato. Viene dunque richiesto un grande impegno da parte dello spettatore, che deve attribuire un significato a ogni personaggio e a ogni oggetto. Se si assume ad esempio che la strada rappresenti il progresso e la tecnologia, si potrebbe leggere il film come una sorta di parabola sull’eccessiva velocità dei cambiamenti, che non permettono di avere il tempo di adattarsi a diversi stili di vita. Ma se si decide che invece rappresenti il peccato originale, allora si potrebbe intravedere un tentativo di restare nel giardino dell’eden. Non a caso la figlia maggiore, la più pigra e disinibita, sceglierà di viaggiare lungo quella strada.

La regista Ursula Meier, già assistente di Alain Tanner, è molto apprezzata per i suoi cortometraggi, documentari e film per la televisione. Home è il suo primo lungometraggio, subito scelto per la Semaine de la Critique all’ultimo Festival di Cannes, che ha subito avuto critiche positive sulla stampa francese e internazionale, tanto da aggiudicarsi ben tre candidature ai premi Cesar. Molti critici hanno paragonato Home a capolavori di grandi cineasti del passato, da Jacques Tati a Cassavetes, Polanski e Bunuel. Di certo si tratta di un film politico, che ricorda certa cinematografia degli anni Settanta, ma attualizzato nella messa in scena. Una sorta di fantascientifico esperimento di raccontare un altro mondo, quello interiore, che si scontra con la società. Home propone tante possibili letture, fino alla soggettiva finale che Ursula Meier dona al mondo esterno che ci guarda, ci giudica e alla fine ci dimentica, passando oltre.

Un plauso alla sempre bravissima Isabelle Huppert, che riesce a creare un personaggio multisfaccettato che anticipa le proprie nevrosi, ancor prima che esplodano. Ottimo anche Olivier Gourmet, l’attore feticcio dei fratelli Dardenne, che, come scrive Jackie Goldberg su Les Inrockuptibles, “nasconde un orco che non chiede altro che risvegliarsi” e bravissimi i tre bambini che incarnano, ognuno a loro modo, i diversi sguardi che possiamo avere sul mondo. Home è una favola, con tanto di lieto fine (ma sarà poi così lieto?), che ha bisogno di essere interpretata, come ogni favola che si rispetti.

Curiosità
Sembra che la canzone Sinnerman di Nina Simone inserita sui titoli di coda, sia stata scelta come omaggio alla sequenza finale di INLAND EMPIRE di David Lynch, che rappresenta la fine di un incubo.

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