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Intervista a Guillermo Arriaga

Presentando la sua opera prima da regista, Guillermo Arriaga ci racconta la genesi di The Burning Plain.

Il tuo modo di raccontare storie è ormai un piccolo classico. Possiamo definirlo così?

Beh, se dovessi raccontarti della mia infanzia in Messico, probabilmente comincerei da mio nonno che veniva da un remoto stato del sud e poi passerei direttamente a parlare di mio figlio perché somiglia abbastanza a mio padre, e poi vi racconterei la storia. Quella che utilizzo nei miei film in realtà è una maniera di raccontare assolutamente naturale per le persone anche se il cinema ha sempre affrontato la narrazione in modo diverso ma nella vita è così che funziona.

Come ti sei trovato a dirigere un film oltre che a sceneggiarlo?

Dopo essere stato così solitario, dopo aver trascorso tanti anni soltanto a scrivere, è stato infinitamente piacevole ritrovarmi nel deserto o nei fantastici paesaggi dell’Oregon circondato da tanti meravigliosi amici che hanno lavorato così bene e così tanto con me. È stato molto difficile, ma tutti i film sono difficili. Ho avuto però la sensazione che tutti coloro che erano sul set fossero dei cineasti e per la prima volta ho detto a tutti: questo non è il mio film, ma il nostro film. D’altra parte fare un film è un cosa molto difficile ma ciononostante i cineasti adorano questo processo.

Qual è in breve il significato che hai voluto dare al film?

La storia narrata in The Burning Plain è un paradosso. Come è possibile che una cosa così bella come due persone che fanno l’amore, possa ostacolare l’amore di altri personaggi? Questo è uno dei grandi misteri romantici e essere in grado di esplorarlo anche solo per un po’ attraverso il cinema è un dono che non dimenticherò mai

Quanto è stato importante avere un’attrice come Charlize Theron nel film?

Il suo assenso ha fatto letteralmente decollare il film. Interpreta un personaggio che affronta un viaggio molto doloroso e lo ha fatto senza semplificarlo, perché questo genere di materiale può sfociare facilmente nel melodramma o in un eccesso di stile.


Un altro elemento importante è stato il direttore della fotografia Robert Elswit (due nomination e un Oscar negli ultimi tre anni)…

Una delle mie scelte migliori per questo film è stata ingaggiare Robert, che non è stato soltanto il mio direttore della fotografia ma è diventato anche il mio maestro. Sul set, mi ha insegnato tantissime cose delle quali gli sarò riconoscente a vita. Quando è venuto nel mio ufficio per discutere di questo film, mi ha parlato solo ed esclusivamente della storia. Non ha mai parlato di obiettivi, macchine da presa o attrezzature tecniche varie, ma abbiamo discusso solo della storia e questo mi ha veramente colpito.

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