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cultura dell'immagine e della parola

Venezia. Sembra ieri
2 settembre

Haile GerimaIeri la complessità di un film come Sut di Semih Kaplanoglu e Melih Selcuk ha assunto i connotati della sfida intellettuale, del confronto impari tra opera e spettatore, nonostante il film turco possedesse una tensione narrativa interessante. Ancora un film che ha spinto lo sguardo dentro l’intimità chiusa di una famiglia. Ancora una sfida, al limite col traumatico, per scoprire nuove immagini lontane, straniere, diverse.
Il ponte tra un film e l’altro è stato evidente anche ieri. Oggi ci ripenso con un pizzico di piacere in più, di consapevolezza ulteriore. Anche quando i generi sono lontani anni luce tra loro, come nel caso di Stella, opera prima di Sylvie Verheyde, regista francese che ricalca affettuosamente, con ironia e uno stile asciutto, i propri ricordi di bambina. Un viaggio nel tempo alla scoperta di una nuova famiglia, di una nuova donna, di un nuovo mondo. E siccome questa cosa del nuovo mondo, dell’esperienza al limite, della scoperta della novità ieri mi aveva spinto in una condizione inaspettata di presobenismo, puntavo molto sul film di Bechis per confermare le aspettative positive. Invece no. Bechis non l’ho visto. Ieri ero piuttosto dispiaciuto, ma poi mi è passata. Oggi già quasi dimenticavo. Ma questa è un’altra storia.
Poi, ieri, è arrivata la bella del nuovo giorno, Natalie Portman che qui ha presentato il suo cortometraggio Eve inserito in Corto cortissimo. Un’occasione strana, unica, sia per vedere lei di sfuggita, sia per vedere il corto di lei, interessante. E pure We Who Stayed Behind, di De Thurah. Anzi, quello ancora di più.
Ci si è mossi anche così ieri, qui alla Mostra. Cercando l’ispirazione leggendo solo un nome, conoscendo solo poche informazioni. Si instaura sempre un gioco tra spettatore e film, una scommessa, un rischio. Per questo ieri si ripensava ancora a Vegas, a come l’uomo possa, voglia, riesca a mettere sotto sopra la propria vita anche con una sola scelta. Un azzardo in più. E nella scelta dei film si vive questa sensazione. Di fatto è stato il nome di Matteo Garrone (produttore) a spingermi in una piccola sala gremita di curiosi a vedere Pranzo di Ferragosto di Gianni di Gregorio. Sceneggiatore e aiuto regista di Garrone, Di Gregorio scrive, dirige e interpreta questa commedia dai toni caldi e seri, che fa riflettere con intelligenza e umorismo sulla condizione degli anziani, sui pregi e difetti di chi, comunque, resta solo. A breve è nelle sale. Quindi si potrà vedere facile.
Non avendo ancora capito come funziona il rapporto tra qualità e distribuzione (chissà quando lo capirò!) ieri, dopo la visione più avventurosa e ricca della giornata, Teza di Haile Gerima, mi chiedevo se questo film sarebbe mai arrivato sugli schermi italiani. Oggi ho ancora dubbi, ma rimango fiducioso (illuso?). Tra i filmakers più importanti del Continente Nero, Gerima, emigrato negli Usa nel 1968, scrittore, produttore e direttore di Sankofa (il suo film più famoso, Miglior film al Festival del cinema africano di Milano nel ’93) racconta una pagina della storia etiope carica di disperazione, realismo e magia. Un film colorato di sangue, tristezza e visioni alternative che spiazzano, disorientano, affascinano.
Così, ieri, sono uscito dalla sala con la sensazione di aver afferrato un’occasione importante. E oggi ne sono convinto.

Chi sale e chi scende

Up
Uno. Chi è tollerante anche se… Chi non ne fa un dramma anche se… Chi ci riprova anche se… Chi si sforza anche se… Chi non si accontenta anche se… Chi ci ride sopra anche se…
Due. Vecchi (?). Da Monicelli a De Oliveira a spasso qui al Lido, dalla Sandrelli di Un giorno perfetto all’attore di Goodbye Solo, dalle signore di Ponyo versione Cocoon alle signore di Pranzo di Ferragosto versione ‘se sta insieme per non morì’ fino a Lauren Bacall, protagonista del corto della Portman. Volti e verità.
Tre. Nuovi (!). Tanti bambini nei film. Tanti figli. Anche senza troppi esempi, anche senza troppe bussole, comunque espressioni di libertà e speranza.

Down
Uno. Chi non tollera e ne fa un dramma. Chi non si accorge che può riprovarci un’altra volta. Chi non si sforza di capire e chi non si accontenta del tanto che ha. Chi non sorride e non prende le distanze. Chi non è preciso. Chi è approssimativo.
Due. La gente fuori e i posti liberi danno largo spazio a momenti di perplessità. Qualcuno mi ha detto che qualcuno gli ha detto che a Berlino, nelle sale, prima dei film, quindi con un margine di tempo necessario e non con il fiato sul collo, o addirittura, a proiezione iniziata, le maschere e i responsabili di sala fanno alzare la mano a chi ha un posto libero al suo fianco. Qui a Venezia no. E la perplessità insiste, allegra, nella mia testa.

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