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cultura dell'immagine e della parola

Deejay Television vs Mtv

1985, ore 14.15 di un giorno di scuola. Ogni adolescente/giovane consumatore di musica ha un appuntamento imperdibile: quello con Deejay Television. Fino ad allora la tv italiana non aveva uno spazio apposito e i programmi musicali proponevano per lo più ospiti in studio, dal vivo o in playback. Italia1, grazie alla collaborazione di Radio Deejay e all’intuizione di Claudio Cecchetto, aveva deciso di puntare sui video. Erano gli anni dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Il video di Wild Boys era costato cifre esorbitanti (bazzecole per i budget di oggi) e iniziavano i primi casi di video censurati (uno su tutti: Relax dei Frankie Goes to Hollywood). Il successo di Deejay Television diventò incontrollabile. Migliaia di persone iniziavano a trovare familiare il faccione di Gerry Scotti o il faccino di Linus, oppure imparavano l’inglese grazie a video Sing A Song, rubrica che proponeva il testo della canzone in sovraimpressione. Negli anni la trasmissione crebbe in popolarità e fu il trampolino di lancio non solo per Amadeus o Jovanotti, ma soprattutto per i video musicali in tv.

L’avvento di Videomusic, alla fine degli anni Ottanta, rese anacronistico il programma, che dovette mollare all’evidente supremazia di un canale che trasmetteva video 24ore su 24. Era il primo passo della fondazione della MTV generation, definizione che unisce e globalizza, giovani e meno giovani di tutto il pianeta. Come al solito c’è chi dice che si stava meglio quando si stava peggio e chi, al contrario, non tornerebbe mai indietro. Ora c’è più scelta, più canali (sebbene la supremazia di Mtv sia incontestabile) e grazie al satellite o al digitale terrestre esistono anche canali tematici dedicati ai video. Eppure la genuina mezz’ora di una volta dava la possibilità di avere un territorio comune su cui confrontarsi: ogni puntata di Deejay diventava argomento di conversazione, mentre al giorno d’oggi è difficile trovare un video che abbiano visto davvero tutti. Una volta era più facile promuovere un genere o un gruppo e magari la linea editoriale del programma pesava fin troppo sui gusti dei “consumatori”. Eppure succede anche oggi, con i musicisti indipendenti che si lamentano perché snobbati dalla tv o dalle case discografiche, solo perché il proprio video è troppo “scuro”.

Sembrano due generazioni distanti anni luce, ma in fondo erano solo due modi diversi di fruire la musica in tv. Ora è tutto più veloce, più patinato, più ricco, più commerciale, anche se è evidente che si tratti della trasformazione di quella genuina voglia di mostrarsi e di mostrare che c’era allora. Eppure alla fine si tratta di ragazzi che vogliono vedere i video, che li amano e li considerano parte integrante della propria formazione culturale e parte del proprio divertimento. D’altronde i ggggiovani (con 4 g) sono fondamentalmente sempre uguali. Quello che cambia sono solo i linguaggi, i ritmi, le mode e i faccioni dei VJ. Ma le aspirazioni e la voglia di musica, quelle, non cambiano mai.

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