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Una SanRemo in Canada

Una SanRemo in Canada

Per le imperscrutabili logiche della distribuzione italiana, dopo infiniti rinvii esce al cinema, in piena estate e, c’è da scommetterci, in un paio di sale, questo lavoro del 2003 del regista sperimentale canadese Guy Maddin, tanto caro a certa critica radical-chic nostrana. Maddin è un artista eclettico, postmoderno, la cui ricerca estetica si rifà all’iconografia del cinema muto. Anche in questo film, i riferimenti sono innumerevoli. Gli interni aristocratici della casa della nobile Lady Port-Huntley richiamano il tardo cinema espressionista tedesco, mentre gli ambienti sobri popolari sembrano venire da un film di Chaplin. Si vede la baronessa, priva degli arti inferiori, in alcune scene, accovacciata su un carrello, citando così il grande classico, anche se non del muto, Freaks (id., Tod Browning, 1932), ma anche il film dadaista Entr’acte (id., René Clair, 1924). Il personaggio senza gambe poi rievoca il grande attore, adorato da Maddin, Lon Chaney in La punizione (The Penalty, Wallace Worsley, 1920), ma anche in altri film nei quali interpretava il ruolo di un menomato.

Maddin però non si limita al mero citazionismo. Vuole anche far emergere quello che c’era dietro le quinte del cinema muto, le ossessioni che non potevano essere espresse sullo schermo per la morale dell’epoca. E così, nella scena dell’incidente automobilistico, causato dalla fellatio che la Rossellini pratica all’autista mentre guida, e che le provoca l’amputazione delle gambe, ricostruisce l’evento che costò la vita al regista Friedrich Wilhelm Murnau. Naturalmente Maddin non vuole confezionare un finto film muto, come il recente Dr. Plonk (id., Rolf de Heer, 2007). Ci sono anche i colori e le scene in bianco e nero sono molto sgranate, un modo per dare l’impressione dell’immagine consunta dal tempo, senza riprodurre le righe delle vecchie pellicole. Maddin gioca a costruire, con lo stile cinematografico del muto, un film che non potrebbe per definizione esserlo, trattando di una competizione canora. In questo sta tutto il senso della poetica dell’autore: la riesumazione di un’estetica, che fu bruscamente interrotta semplicemente a causa di un’innovazione tecnologica, il sonoro, ma che può avere ancora un senso nel cinema contemporaneo.

Purtroppo tutto questo lavoro, accuratissimo e raffinatissimo, confluisce in un accumulo estetico strabordante, un’overdose di immagini, un effetto caleidoscopio. Per questo il lavoro di Maddin sembra trovare la sua dimensione ideale nei cortometraggi. Ne ha fatti molti, e alcuni dei questi sono dei capolavori, proprio per la capacità di creare emozioni condensando le sue immagini straordinarie.

Curiosità
Il film è tratto da una sceneggiatura originale dello scrittore, di origine giapponese ma naturalizzato inglese, Kazuo Ishiguro, autore di Quel che resta del giorno. La vicenda, originariamente ambientata nella Londra degli anni Novanta, è stata trasposta da Maddin nella natia Winnipeg negli anni Trenta.

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