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Ritorno al passato

Ritorno al passato

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Primer è un film mai uscito in Italia. Facile capirne i motivi. Il film è rarefatto, girato completamente sui volti e le emozioni dei protagonisti, non spiega dettagliatamente tutti i passaggi, fa intuire. La distribuzione italiana, generalmente poco coraggiosa, non poteva certo puntare su questo “prodotto” realizzato con pochi soldi dallo sconosciuto Shane Carruth. Carruth lo ha scritto, diretto, interpretato, montato e musicato. I titoli di coda sono brevissimi, poche persone hanno collaborato alla realizzazione del film eppure non si direbbe. Il merito è dell’idea. Primer parla di due giovani uomini con problemi economici che si rendono conto di aver inventato una macchina del tempo. Nella prima parte seguiamo le loro vite, la loro lenta presa di coscienza di ciò che sono riusciti a fare. Nella seconda si passa a esaminare le scelte morali e materiali che tutto ciò provoca nella loro percezione del reale.

Interessante l’idea e soprattutto interessante la messa in scena. Le inquadrature indugiano sui volti, sui particolari. La profondità di campo è quasi inesistente, come se ci si volesse focalizzare in un punto dello spazio, che è anche un momento preciso nella curva temporale. L’ambiente circostante è sempre uguale, sempre neutro. I vestiti dei protagonisti non cambiano. Così facendo lo spettatore rimane sempre con loro, immedesimandosi nei loro gesti, senza avere la percezione del quando questi gesti sono stati fatti. Questo elemento, che a prima vista potrebbe sembrare un errore, sposta l’attenzione del film dall’invenzione in se stessa per focalizzarsi sulle sue conseguenze. Cosa fare con una macchina del tempo? Togliendo tutte le variabili sulle responsabilità individuale contrapposta al destino del mondo (i paradossi citati dalla trilogia di Ritorno al futuro, per esempio), quali vantaggi immediati se ne possono trarre: giocare in borsa certi del guadagno o scambiare se stessi per darsi una nuova vita? Chi non ha mai sperato di tornare indietro mantenendo le esperienze maturate con il tempo?

Shane Carruth mette in contrapposizione questi due elementi, proponendo spunti di riflessione senza sbattere il dilemma in faccia allo spettatore. La forza del film è nella sua povertà di mezzi, che ha permesso di sviluppare una sospensione temporale nella visione. Quasi tutto è immobile nel film, ma niente è ripreso per caso. Alcune inquadrature fisse dicono molto di più di quello che sembra e contengono i presagi sulle scelte che compiranno i protagonisti. Una lezione di regia e vista la moda televisiva di riflettere sul tempo (24, Lost) Primer andrebbe recuperato assolutamente. Il film ha vinto il Gran Premio della Giuria al Sundance Festival del 2004. Non avendo visto i concorrenti, possiamo azzardare nel dire che la vittoria è stata meritata. Nessun film è più indipendente di questo e propone uno sguardo interessante sul presente. Shane Carruth non ha più prodotto nient’altro, ma lo aspettiamo al varco e con trepidazione alla sua seconda regia.

Curiosità
Costato circa 7 mila dollari, il film ha incassato solo nel primo weekend di programmazione (4 sale negli Usa) poco più di 28 mila dollari. Gran Premio della Giuria del Sundance, nel 2004 il film ha vinto anche l’Alfred P. Sloan Feature Film Prize sempre al Sundance e ha ricevuto diverse nomination a numerosi festival: Fantasporto, Indipendent Spirit Awards, Gotham Awards e al Sitges.

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