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La città da disinnescare

La città da disinnescare

Ci sono romanzi che somigliano alla vita e vite che somigliano a un romanzo: quando ciò che accade ci è molto vicino è difficile stabilire il confine tra il reale e l’immaginato, tra la fiction e la cronaca, tra quello che avviene dentro e quello che ha luogo fuori, all’esterno di noi. Vengono in mente pensieri come questi leggendo Milano è un’arma, opera prima di un esordiente assoluto per una piccola casa editrice capace di un po’ di coraggio. Un titolo che non rende giustizia al senso della città che traspare dal romanzo, ma che ha il merito di metterne subito a fuoco uno dei temi centrali: la città, Milano, di cui si parla tanto senza dirne quasi mai qualcosa di buono.

Milano è un’arma puntata alla mia testa. Milano è un’arma conficcata nel mio cuore. Si direbbero parole di un romanzo. Ma è davvero un romanzo? Formalmente si tratta di un noir. Ma la materia narrata, si diceva, è così vicina a un vissuto (personale e collettivo) da travalicare i confini imposti dal genere, anche in virtù di uno stile nutrito di apporti di altre arti, dal cinema al fumetto. Fondamentalmente, una storia: popolata da personaggi improbabili come spesso ci appaiono le persone intorno a noi, gli altri. Cristiano Camporosso, ispettore raccomandato tendente all’inconcludenza deve indagare su due morti in un Centro Sociale Autogestito andato in fiamme, e questa volta gli sembra il caso di portare a termine un’indagine che qualcuno vorrebbe seppellire. Lo fa insieme a un gruppo di personaggi più o meno spessi, suo e loro malgrado parte di una vicenda comune: il Gatto, Blanco, il Brucia, nomi inventati che nascondono identità tragicomicamente reali. Lo fa con ostinazione, seguendo una pista di indizi che lo conduce da Chinatown (quartiere di negozi tutti uguali con gestori tutti uguali per prodotti tutti uguali) alla Milano da bere e dabbene (la bohéme vacua di chi per arte intende bella vita) all’Ospedale Niguarda con i suoi nuovi padiglioni “dall’aspetto post-futuristico, neoavanguardia e cyberpunk”, passando attraverso violenza metropolitana e sofferenze più o meno conclamate. Con lui, con loro, incontriamo i cinesi, i nazi, gli ultras, i rumeni, i punkabbestia, i poliziotti, gli squatter… “gli animali più strani” che abitano una città povera di cantori ma ricca di luoghi dimenticati e angoli bui, in cui covano pregiudizi di razza, ceto sociale, cultura, fede. Una città-arma da disinnescare per provare a viverla, rendendo innocua l’immensa stanza in cui mi sveglio e mi addormento per sognare il futuro. Una storia ‘sulla’ e ‘nella’ città, per riprenderla come luogo vivo, capace, in quanto tale, di suscitare reazioni forti.

L’autore
Francesco Gallone è nato a Milano nel 1978. Vende fiori finti ai mercati comunali. Ha un blog, camporosso.blogspot.com, e questo è il suo primo romanzo.

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