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cultura dell'immagine e della parola

Cinque anni di critica Tv su Hideout

Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

(Eugenio Montale, Ossi di seppia)

Premessa: non sono qui per scrivere un’autocelebrazione o, peggio ancora, un amarcord. Semplicemente mi sono reso conto che tra qualche giorno la rubrica che state leggendo compie cinque anni. Già, era il maggio 2003, ed eravamo agli albori di Hideout, quando io medesimo, ai tempi studente di comunicazione con grandi speranze e molta incertezza per il futuro, scrivevo la presentazione di quel piccolo contenitore di critica televisiva e pubblicitaria che allora si chiamava Fermo immagine. Eccoci qua, agli inizi di maggio 2008: Hideout tiene botta, io sono un precario con molta incertezza per il futuro, la rubrica ha cambiato nome e, nel frattempo, ne ha anche generata un’altra (Carosello). Viene quasi voglia di prendere un bicchiere e provare a misurare quanta acqua è passata sotto i ponti.

Abbiamo visto nascere l’Isola dei Famosi, abbiamo commentato con scoramento sanremi e grandi fratelli, abbiamo difeso a oltranza Report e ci siamo scervellati con Lost fin dai suoi inizi (e ancora non abbiamo smesso di farlo). Che cosa abbiamo imparato? Che cosa possiamo dire della Tv che sarà, basandoci su quello che è appena stata? Riguardando quanto scritto in questo lustro, mi convinco che la televisione che abbiamo conosciuto insieme è al tramonto, ma si tratta di un tramonto ben diverso da quello che avremmo potuto aspettarci. In teoria, la Legge Gasparri aveva indicato il punto di discontinuità: 31 dicembre 2006. Per allora lo switch al digitale terrestre avrebbe dovuto concludersi, segnando l’inizio di una nuova era. Personalmente, avevo una teoria a riguardo. Ero convinto che la proliferazione di canali tematici conseguente alla digitalizzazione avrebbe polarizzato il consumo televisivo. Da una parte il prodotto di qualità pensato per una nicchia di spettatori di profilo alto, dall’altra il programma “nazional-popolare” pensato le masse e inevitabilmente livellato verso il basso.

Se ci pensate, è esattamente quello che sta succedendo, anche se la Gasparri non ha mai trovato attuazione (ora si parla di 2012, ma è una data indicativa). Il problema è che, in mancanza di nuove frequenze, la polarizzazione che prospettavo è avvenuta non tanto in seno alla Tv stessa, ma con lo slittamento verso altri media. Prendiamo come esempio i programmi che ho appena citato. Che ne è stato? L’Isola dei Famosi, il GF e Sanremo vanno avanti replicando all’infinito gli stessi schemi, scadendo però sempre di più nel volgare o nello scialbo. Questa è la Tv per il grande pubblico, su cui le reti generaliste hanno tutto l’interesse a investire. Lost (ma potremmo fare tanti altri esempi), invece, per quanto sia ancora un programma visibile in chiaro, viene ormai fruito in gran parte tramite satellite e via internet, previo scaricamento. Questa è la Tv di qualità che, a fronte di un panorama culturale in evoluzione, cessa gradualmente di essere Tv per spostarsi su media più consoni alle esigenze di un nuovo tipo di spettatore più cosmopolita, più attento a quanto succede all’estero e in cerca di media flessibili che non lo vincolino a un palinsesto.

E i vari Report, Che tempo che fa, Tv Talk? Non sono dei casi lampanti di buona televisione che resiste? Per come la vedo io, sono programmi che sopravvivono solo per due motivi. Da una parte perché esiste ancora un target di buon profilo culturale e appetibile per le reti generaliste che – principalmente per motivi anagrafici – non ha ancora acquisito sufficiente dimestichezza con i nuovi media. Dall’altra perché la Rai, che continua a chiedere un canone agli spettatori, ha bisogno di qualche guizzo intellettuale che giustifichi il conto a fine anno.[img4] Sarei pronto a scommettere che quando saremo in presenza di un vasto pubblico di utenti (la nostra generazione, per intenderci) in grado di cercare altrove la qualità che alle reti nazionali manca, anche gli investimenti in prodotti di questo tipo verranno tranquillamente ridotti al minimo indispensabile.

In conclusione? Penso si tratti di una corsa contro il tempo. Se la Tv vuole mantenere in Italia quel ruolo di “medium-egemone” che ormai le sfugge di mano ogni giorno di più, deve rinnovarsi drasticamente. Diventando altro da sé, se necessario. Se non lo farà, qualche altro mezzo più in linea con i bisogni dei nuovi pubblici prenderà il suo posto. Naturalmente non bisogna dimenticare che siamo un paese vecchio e conservatore, quindi il processo potrebbe essere più lento del previsto. La tendenza, comunque, è questa, per quanto ho avuto modo di vedere. Nel dubbio, vi do appuntamento qui tra altri cinque anni. Vediamo come va a finire.

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