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Anna e la sua sorella

Anna e la sua sorella

Tratto da un romanzo storico di Philippa Gregory, il film si incentra sulla figura poco conosciuta della sorella di Anna Bolena, Maria. Il tutto visto secondo un’ottica femminile: le donne, siano esse ciniche calcolatrici, come Anna, o mosse da sentimenti sinceri, come Maria, costituiscono il fulcro dell’azione. Sono vittime di uomini gretti e stupidi, per i quali costituiscono null’altro che un capriccio che deve essere soddisfatto a tutti i costi, anche se il prezzo da pagare è andare contro la ragion di stato e rompere con il Papa. Evento quest’ultimo racchiuso in un’elissi narrativa, per concentrarsi sulle vicende intime del sovrano e delle sue donne. Tutti temi interessanti sulla carta: dare spazio alle figure storiche dimenticate, mostrare come dietro grandi eventi che hanno segnato la Storia, come lo scisma di Enrico VIII, possano essere ragioni di letto, come brama di potere e di donne si possano intrecciare. Ma il film dribbla tutti questi punti di riflessione, e il risultato è uno scialbo affresco storico, una semplice, e piatta, narrazione del susseguirsi degli eventi dell’epoca.

Il film è del tutto privo di pathos, tanto che i momenti che dovrebbero essere più drammatici, quelli delle decapitazioni, riescono a far rimanere insensibili gli spettatori. Manca del tutto una qualsiasi fascinazione sensuale ed erotica, come la vicenda e le due attrici protagoniste avrebbero fatto presupporre. Natalie Portman e Scarlett Johansson sono fotografate male, tanto da apparire come delle cozze, e per questo davvero ci voleva tutta. Il direttore delle fotografia e il regista meriterebbero, loro sì, la decapitazione pubblica! Dei circa cinquanta Enrico VIII messi in scena nella storia del cinema, l’interpretazione definitiva è stata senza dubbio quella di Charles Laughton, uno dei più grandi attori di tutti i tempi, che ha rivestito i panni del monarca inglese in ben due film, Le sei mogli di Enrico VIII (The Private Life of Henry VIII, Alexander Korda, 1933) e La regina vergine (Young Bess, George Sidney, 1953). Il raffronto con il piacione e mascellone Eric Bana sarebbe davvero impietoso, ma non porterebbe comunque da nessuna parte. Per il tipo di figura richiesta per L’altra donna del re, Bana potrebbe anche andare bene aderendo ai canoni estetici del pubblico attuale e mostrando così che il sovrano era dotato anche di fascino, non solo di potere. Ma ogni buon cinefilo non può ricordare con nostalgia la bellezza di quei film, la magia del technicolor con quei colori pastello, e il confronto con il realismo dell’oggettivazione fotografica dei film storici contemporanei.

L’altra donna del re è una semplice operazione a tavolino, cinica come la manovra alla corte di Albione: prendere due attrici sulla cresta dell’onda e inserirle in un film d’epoca con grande spiegamento di costumi sfarzosi e ambientazioni da cartolina. L’avessero fatta almeno un po’ meglio!

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