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L’isola del dolore che non c’è

E’ difficile parlare delle cose importanti, tragiche o piacevoli che siano. Ne parlano sempre in tanti, e meglio. Il desiderio è quello di scrivere la cosa illuminante senza cadere nel banale. Forse in questo comune empasse si è trovato Sandro Veronesi, quando ha deciso che il suo romanzo avrebbe parlato niente meno che del dolore. Per evitare retoriche lacrimose o elucubrazioni trascendentali, presenti in abbondanza in opere di molti suoi colleghi, l’autore toscano ha scelto una strada nuova: parlare dell’assenza del dolore (quando invece dovrebbe esserci), parlarne alle spalle e vedere che succede.

Fulcro della trama è infatti il dolore che Pietro non prova per l’accidentale morte della moglie. C’è una richiesta di dolore, una volontà, ma non una risposta, un’occasione. Il personaggio di Moretti, freddamente milanese nella mentalità e nei rapporti (e in questo riflette l’ambientazione milanese del libro e influenza fortemente quella romana del film), sente il bisogno di soffrire quando realizza che non lo sta facendo. Il dolore si tramuta in un’azione del tutto fuori dagli schemi del lutto e della perdita. Pietro inizia ad aspettare sua figlia, fuori dalla sua scuola elementare, ogni giorno, per tutto il giorno. Non è più marito, diventa tutto padre. Il dolore inizia però ad andare da lui, visto che lui non ci è andato. Novello Maometto. Parenti, amici, colleghi cominciano un pellegrinaggio nel piccolo parco davanti alla scuola dove Moretti si è stabilito. Nell’auto, sulla panchina, al bar, “padre” Moretti inizia ad ascoltare le confessioni sofferte delle persone con cui ha vissuto fino ad allora. In quest’isola, dove lui è sovrano assoluto (comanda alla propria auto di salutare il bambino down quando passa), sfila lo sbagliato del mondo di oggi, quello che non va, in ognuno, quello che non c’è. Come il dolore in Pietro, che, e questo è il vero strumento di redenzione, prova a soffrire tramite gli altri.

Veronesi s’è detto incredulo all’acquisto dei diritti cinematografici da parte della Fandango. Non vedeva affatto un film tra le righe del suo libro. Ma regista e sceneggiatori hanno setacciato il bel romanzo, hanno assorbito, scavato per averne il meglio e ne hanno tirato fuori qualcosa di nuovo, un film che sta in piedi e cammina da solo. Al duro lavoro, tra gli altri, ha partecipato anche Nanni Moretti, ma non il prulipremiato autore. Una novità rispetto alla frequente abitudine dei romanziari di collaborare alla rielaborazione cinematografica delle proprie opere.

L’ambientazione romana del film, com’era quella milanese del libro, scarseggia, in senso materiale (palazzi, strade, marciapiedi). E’ del tutto “mentale”, asettica e circoscritta. La luce è schermata nel parco, gli attori si muovono quasi nella penombra. Il nucleo del romanzo è rimasto intatto. E anche se il film non si concede il dolcissimo finale del libro si congeda con la squisita colonna sonora del musicista Michele Buonvino e con un inedito di Ivano Fossati.

Caos calmo, romanzo di Sandro Veronesi, 2005
Caos calmo, regia di Antonello Grimaldi, 2008

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