Damages, i danni del tempo
In principio fu Pulp Fiction. Parliamo di storia contemporanea della scrittura per lo schermo. Era il 1994 e il pubblico usciva dalla sala entusiasta per questo nuovo modo di spezzettare la cronologia e le storie. Intendiamoci, niente di nuovo sotto il sole: già Stanley Kubrick con Rapina a mano armata (The Killing, 1956) ritornava per sette volte in uno stesso punto temporale. Ma è stato Tarantino a riportare in auge l’argomento Tempo con la T maiuscola.
La televisione fino a pochi anni fa non sembrava risentire di questa tendenza. Le serie negli anni Ottanta erano di stampo classico, con storie autoconclusive che spesso non tenevano conto nemmeno della continuità delle vicende dei propri personaggi. Grazie al successo di Twin Peaks (1990), anche la tv iniziò a osare di più. Non solo nei temi, ma anche nella sofisticazione dei format. Il 22 settembre 2004 il canale americano ABC mandò in onda la prima puntata di Lost, evento spartiacque che fece entrare definitivamente le serie tv nel… Tempo. Il flashback divenne il fulcro centrale del racconto, con risultati strabilianti sia in termini di ascolto, almeno nel mondo anglosassone, che per il riscontro della critica. La tv contemporanea continua a proporre serie ai confini della realtà e il pubblico gradisce. Non a caso, sempre più spesso, le star americane passano dal piccolo e al grande schermo e viceversa senza più destare stupore.
Nel luglio 2007 il canale satellitare FX mise in onda una nuova serie tv “legal” dal titolo Damages, scritta da Todd A. Kessler (I Soprano) e Glenn Kessler (Law & Order). Gli interpreti sono di prima grandezza: Glenn Close (Le relazioni pericolose), Rose Byrne (Marie Antoinette), Tate Donovan (The O.C.) e Ted Danson (Cheers). L’episodio pilota si apre con un omicidio, il cui svolgimento viene dipanato nel corso di tredici puntate, attraverso flashback che partono da sei mesi prima. Ogni puntata racconta un passato sempre più vicino, fino alla congiunzioni dei due piani temporali, in cui anche la fotografia, virata sui toni caldi del giallo nel passato e sui toni freddi del verde nel presente, si mescolano e diventano una cosa sola. Chapeau. Un’operazione precisa e sofisticata in cui ogni inquadratura è studiata, i dialoghi sono perfetti, le interpretazioni ineccepibili. Se la tv italiana copiasse anche solo un decimo di cotanta professionalità, grideremmo al miracolo.
Eppure c’è qualcosa che non va. Il format in sé ha definitivamente soppiantato la voglia di raccontare una storia. Lo spettatore vuole finire il puzzle e non importa se alla fine vivranno felici e contenti. Il finale è aperto e la seconda e la terza serie sono già pronte da mandare in onda.
È solo una questione di Tempo.
A cura di Sara Sagrati
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