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State tranquilli, va tutto bene

State tranquilli, va tutto bene

Un deputato donnaiolo e alcolizzato ma col senso degli affari, una donna ricchissima e affascinante, un uomo della Cia con viso e modi da cagnaccio. Un teatrino ben costruito a tal punto che verrebbe da pensare che i tre personaggi sono in cerca di una storia, più che di un autore. È vero che l’impianto narrativo è facilmente identificabile (anni ’80, penultima fase della Guerra fredda, sostegno americano della resistenza afgana ai russi), è vero che i toni sono quelli della farsa e che tutto ciò che viene raccontato è surreale, sebbene reperibile attraverso la storia del senatore Charlie Wilson (negli States raccontata dal giornalista George Crile, in Italia dal libro Il nemico del mio nemico, Il Saggiatore), ma il film di Nichols non raggiunge il ritmo, la tensione, l’ironia necessaria per sputtanare con convinzione un sistema (rotto) e una storia (corrotta), che nel giro di un ventennio hanno spinto gli States a tirarsi contro i propri amici/nemici.

Si, ok, i tempi cambiano ma lo sapevamo già. È acqua passata molto tempo fa e riciclata da Moore durante l’esplosivo Fahreneit 9/11 (id., 2003) e, addirittura, (seppur con intenzioni spettacolari differenti) da Andrew Niccol con Lord of war (id., 2005).
Nichols, invece, che ha fatto del racconto della relazione e delle ambiguità i punti centrali del suo cinema (da The graduate del 1967 a Closer del 2004), questa volta approssima dei profili superficiali ma rispettabili. Non si sbilancia, fa il moderatore di uno scenario squallido senza rappresentare realmente come stavano le cose. Punta basso e non rischia.

Resta il sapore di un’occasione giocata male. Non del tutto sprecata, semplicemente giocata male. Dallo script alla scelta del cast, tutto sembra un buon pretesto per aprire nuovamente una parentesi aperta di rado. Per fare luce sulle oscure verità che accompagnano la vita di ogni paese, per abbozzare un ribaltamento dei punti di vista.
Ma forse, quella della verità e dell’abbondanza di informazioni è solo l’esigenza impellente dello spettatore moderno. Certo, non tutti devono ispirarsi a Michael Moore, ma per criticare qualcuno o qualcosa, tanti qualcuno o tanti qualcosa, serve decisamente più motivazione.

Ad ogni modo, qualcuno negli States sembra pensarla così: per citarne solo tre, vedi Paul Thomas Anderson, che dalla storia di un cercatore di petrolio in There will be blood arriva a raccontare il male e l’avidità dell’occidente, vedi Brian De Palma, che con Redacted finge di essere in diretta con la guerra, vedi i Coen, che, dallo spunto di una delle loro storie sghembe, in No country for old men raccontano i cambiamenti di luoghi e persone con l’arrivo di denaro sporco, corruzione e droga.

Curiosità
Verso il concludersi del film, a Hanks/Wilson viene donato uno degli Stinger usati dagli afgani per abbattere gli elicotteri russi. Il vero Charlie Wilson ha spiegato di tenere ancora lo Stinger nella propria casa come uno dei suoi beni più preziosi.

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