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cultura dell'immagine e della parola

Film calmo

Film calmo

Intorno a questo film è nato un dibattito prima ancora che arrivasse nelle sale, anche se i motivi scatenanti non sono forse quelli che ci si dovrebbe aspettare. Più che di un vero e proprio dibattito si tratta di un chiacchiericcio di sottofondo, che trova il suo misero posticino tra le polemiche di sapore etico che occupano in queste settimane le pagine dei giornali italiani.
Lo scandalo è scaturito dalla scena di sesso tra Nanni Moretti e Isabella Ferrari: davvero non ci sono più gli scandali di una volta. La scena incriminata, oltre a mostrare il lato b di un Moretti che qui fa solo l’attore, non possiede un grande appeal sessual-cinematografico, né risulta funzionale alla vicenda narrata. Pertanto accantoniamola, perché il tema principale della pellicola di Antonello Grimaldi non è il sesso, ma il lutto, argomento che Moretti aveva già affrontato, con risultati migliori, in La stanza del figlio del 2000.

Un lutto apparentemente particolare, in quanto non immediatamente riconosciuto come tale dal protagonista Pietro Paladini, ma una condizione psicologica descritta come ‘caos calmo’. Uno stato interiore che le immagini non riescono, da sole, a descrivere, risultando implicitamente manchevoli: c’è tutto un mondo che dovrebbe risuonare dietro ogni inquadratura, ma non lo fa. E se è vero che il dolore a cui ci si riferisce è sordo, non lo è lo spettatore, che a tratti sente l’assenza di una voce off che accompagni le immagini, di un punto di vista che commenti quanto accade. Insomma, di una regia.

Si prenda ad esempio la scena iniziale, quella del salvataggio in mare: rispetto alle implicazioni che avrà poi nel corso della storia, è trattata in modo didascalico e lo spettatore ha, di massima, due reazioni: se ha letto il già celeberrimo romanzo di Veronesi resterà inevitabilmente deluso dall’assenza di tutte le sensazioni del protagonista che conferiscono senso agli sviluppi della vicenda e lo scoprono sotto il profilo interiore. Il salvataggio è strettamente connesso all’attrazione fisica: il passaggio, inconscio, dall’allontanamento della morte all’avvicinamento totale dei corpi è profondo ed espressivo, ma qui, all’interno della struttura filmica, rimane frustrato e reciprocamente scollegato.

È vero che il film è un organismo indipendente dall’eventuale testo dal quale è tratto, tuttavia anche solo a livello di contenuto presenta dei buchi di scrittura che non rendono un buon servizio alla storia narrata. È insieme quindi un problema di sceneggiatura e di (invisibile) regia, se un film che parla di lutto e della sua elaborazione non suscita emozioni né sentimenti di sorta.
Come se ne sarebbe parlato senza la scena incriminata – e nel film purtroppo decontestualizzata – del retroamplesso Moretti/Ferrari? Meglio meditarci un po’, magari soli su una panchina…

Curiosità
Il direttore del casting Laura Muccino è sorella dei registi Gabriele e Silvio. Tra i film in cui ha lavorato ricordiamo Come tu mi vuoi (id., Volfango De Biasi, 2007), e Tickets (id., Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami, Ken Loach, 2005).

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