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Luna in vendita

Luna in vendita

Da filmino aziendale a lungometraggio per le sale: Voglio la luna sbarca al cinema lanciando la formula più innovativa, e per certi versi rivoluzionaria, degli ultimi anni nel panorama italiano dell’intrattenimento. Di questo bisogna prendere atto, al di là del giudizio che ciò implica sullo stato di salute della settima arte nel nostro paese, che lasciamo volentieri al lettore. In sintesi, Voglio la luna è un’ambiziosa operazione di marketing o meglio di product placement voluta da Hotelplan, uno dei colossi del turismo in Italia. L’idea iniziale di un “semplice” mediometraggio che coinvolgesse i dipendenti dell’azienda, pubblicizzandone le attività e i partner commerciali, si è trasformata in breve tempo in un progetto in grande stile: grazie al coinvolgimento di professionisti del settore come i registi Roberto Palmieri e Roberto Conte o il direttore della fotografia Massimiliano Pantucci, nonché della casa di produzione ATre Film Factory, il film ha assunto tutte le caratteristiche di un vero e proprio prodotto di fiction. Non solo: la distribuzione nelle sale è stata accompagnata da un ulteriore battage pubblicitario, che abbina la visione del film a un concorso tramite il quale aggiudicarsi un viaggio Hotelplan (naturalmente alle Mauritius).

Insomma: un’iniziativa di “comunicazione non convenzionale” alla quale, dal punto di vista aziendale e promozionale, non si può che tributare un meritato applauso. Altra cosa è il cinema. Certo, tenendo conto delle finalità per cui è nato e dei mezzi a disposizione, Voglio la luna è un prodotto straordinario, che non ha nulla da invidiare ad alcune opere pseudo-professionali; tuttavia, il risultato finale è comunque qualcosa di diverso da un lungometraggio vero e proprio, sospeso com’è tra il documentario promozionale e la commedia hollywoodiana (tutt’altro che originale). La cosa migliore del film, e questo non depone a suo favore, è proprio la prova degli attori: pur risultando evidente il carattere amatoriale della loro interpretazione, tutti i membri del cast se la cavano egregiamente. Una spanna sopra gli altri Paolo Marangoni, uno dei protagonisti, la cui recitazione “Jerry Calà style” strappa più di un sorriso e fa davvero pensare a un attore mancato. Facilitati indubbiamente da una regia precisa e da un’ottima fotografia gli interpreti si disimpegnano come meglio non potrebbero. Purtroppo per loro, la trama del film è davvero inconsistente e rabberciata e alcune discutibili scelte tecniche (soprattutto il montaggio, con continue e fastidiose dissolvenze tra una scena e l’altra) fanno sembrare il prodotto più amatoriale di quanto non sia. Le partecipazioni illustri di Gianmarco Tognazzi e Rocco Barbaro non aggiungono nulla al film e, spiace dirlo, la musica del pur bravo Paolo Jannacci appare totalmente fuori contesto, oltre che eccessivamente invasiva.

Ciò non aiuta certo a tollerare l’aspetto meramente promozionale del film, che nella sua seconda parte, nonostante le buone intenzioni, si trasforma di fatto in un gigantesco spot pubblicitario delle isole Mauritius, con la continua riproposizione di panorami patinati e commenti palesemente propagandistici: pubblicità per nulla occulta, d’accordo, ma che alla lunga finisce per risultare davvero indigesta. Nonostante i suoi evidenti limiti, comunque, il film risulta nel complesso godibile e piacevole, tenendo conto del contesto; la validità dell’esperimento (anche se non ne conosciamo il budget) è confermata e non c’è dubbio che l’operazione possa trasformarsi in un precedente incoraggiante, nonché un po’ inquietante, per il futuro.

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