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cultura dell'immagine e della parola

Le metamorfosi
di Viggo Mortensen

Dopo eXsistenZ qualcosa è cambiato nel cinema di <i>Viggo Mortensen in Eastern Promises</i>” />Cronenberg. Lo sguardo. <strong>Lo sguardo si è fatto superficialmente normale, lineare</strong>. Ha perso l’ansia del mostrare i mondi che si sovrappongono e le cose-oggetti-figure magmatiche, metamorfosizzate, penetrate e penetranti della carne.<br />
È calato un velo sopra il cinema di Cronenberg, che non lascia più vedere la mostruosità accecante, ma la nasconde sotto pelle. Nella rete silenziosa e piena di tranelli narrativi-visivi-interpertativi di <em><A href=Spider e dentro il corpo segnato, ferito, gonfiato, pesante di Viggo Mortensen.

Con A history of violence e Eastern Promises il regista canadese genera due gemelli attaccatti come appendici l’uno all’altro: film di violenza e morte, di sangue e segni, incarnati nello stesso attore, Viggo Mortensen, che crea senso attraverso l’esposizione visibile delle metamorfosi a cui il suo corpo è sottomesso.
Entrambi i protagonisti dei due film sono parte di un mondo famigliare che ne occulta la vera identità, entrambi risucchiati in un essere diverso dall’originale, entrambi hanno generato una copia di se stessi: come in La mosca, l’uomo primitivo è scomparso sotto i segni di un nuovo essere. Scoperto, visibile: in entrambi i film due personaggi sono colpiti in un occhio, Fogarty e uno dei killer curdi che attaccano Nikolai. È Josey ha compiere quell’atto, a rendere la visione inaccettabile, ferita, ad aprire un nuovo canale di osservazione e comprensione. La visione di queste multiple identità e di questa carne così esposta e narrativa diventa accecante anche per noi spettatori.

<i>Viggo Mortensen in A history of violence</i>” />In <em><A href=A history of violence Tom Stall è un dolce, titubante, quasi goffo padre di famiglia, proprietario di un ristorante in una piccola città. Il suo è un corpo lontano da ogni concretezza, un corpo casuale e isolato: abita lontano, in un irreale momento storico, in un’altrettanto irreale realtà americana, nascosta, provinciale, di camicie a scacchi e scarpe pesanti.
Un mostro esce fuori da Tom Stall, con un nome, Joey Cusack, un fantasma accovacciato dentro il suo corpo rassicurante e i suoi occhi azzurri e grandi, spalancati. Un essere invisibile che combatte e uccide con un’abilità felina, quasi casualmente. E il sangue, che sempre e comunque schizza sulla faccia di Viggo Mortensen, è il segno visibile della sua innata bestialità, sono i suoi tatuaggi.

Con questo personaggio alle spalle, Mortensen entra dentro “l’autista” di Eastern Promises. Nikolai è ciò che di Tom si riusciva solo a intravedere: ritto, elegante, composto, padrone dello spazio in cui si muove, viene da una grande città, Londra, con una presenza inquietante simile a quella che aveva Carl Fogarty in A history of violence, dietro gli occhiali neri e il vestito costoso.
Il volto rugoso e gli occhi taglienti, l’autista è un pesante corpo uscito direttamente dalle viscere del Mortensen-Tom, il corpo <i>Viggo Mortensen in Eastern Promises</i>” />nero che incarna un’anima irrimediabilmente occultata, corrotta forse. <strong>Se la pelle di Tom non lascia trasparire nulla del suo doppio, quella di Nikolai ha subito una tale trasfigurazione da coprire qualsiasi senso ulteriore </strong>.Il russo, con la presenza ingombrante della sua massa fisica, ha annientato la sua vera identità sotto una moltitudine di tatuaggi, che sono racconto visivo, unico segno sensato di realtà. </p>
<p>Dall’altra parte del mondo, Philadelphia come Londra, un protagonista per un altro: Mortensen mette in scena uno sdoppiamento multiplo, che fa di lui un essere cronenberghiano per eccellenza, ibrido tra carne marchiata e significati identitari, tra le ferite del suo copro di attore, come la cicatrice sul labbro superiore, e quelli della finzione filmica, siano tatuaggi o lacerazioni sceniche.<br />
Le parole rimangono nascoste e non interpretabili (la lingua russa non viene tradotta): <strong>rimane invece, come forte stampo recitativo in grado di offrire un’interpretazione del mondo, la sua voce e l’inflessione, la sua nudità, essa stessa un racconto</strong>.</p>
<p>Non a caso, per Tom la più forte esplicitazione del suo doppio avviene durante il violento rapporto sessuale che ha con la [img4]moglie sulle scale. Un unione di corpi sgraziati, appena spogliati, che lascia ematomi sulla pelle come tatuaggi indelebili di un’eccitazione incontrollata per l’altro, il nascosto, il crudele, lo sconosciuto.<br />
Per Nikolai, figura perennemente in stato di tensione (difensiva, aggressiva, erotica) non c’è scioglimento sessuale o possibilità di esprimere la propria carica: con un corpo che già divampa di una violenta passione, di una spinta totale alla definizione di sé (che è inevitabilmente anche un mascheramento), <strong>il doppio di Tom si trova a recitare attraverso la sola presenza fisica in una scena di lotta all’ultimo sangue, che pare davvero una scena di sesso</strong>.<br />
Là dove il sesso sembrava uno stupro o un momento di rabbioso contrasto, qui la lotta, primitiva, mascolina, definitiva, integra l’orgasmo con la morte, il sangue con la perdita della purezza, il duello per la sopravvivenza con l’unico momento di esplosione erotica. A Nikolai è precluso qualsiasi slancio fecondo, qualsiasi piacere fisico coinvolgente che non sia lo scontro e l’uccisione.</p>
<p><strong>Cronenberg ancora in modo imprevedibile e estremo spoglia l’individuo della relatività della sua identità per mostrare tutto il senso della carne, unica certezza, unica verità</strong>. Per <em><A href=A history of violence c’era un corpo normato che scintillava follia omicida; per Eastern Promises c’è un corpo d’eccezione, che è scrittura e racconto in sé, che rimane svuotato di qualsiasi anima. Mostrare i tatuaggi è dire chi si è, e solo attraverso l’incisione della pelle Nikolai può essere scambiato per “Il principe”. Per poi diventare “Il re”, irrimediabilmente legato al ruolo che si è scelto.

Infine, le parole non servono più, i significati dei dialoghi rimangono oscurati dietro la pastosa pronuncia russa di Mortensen:

<br /><i><i>Viggo Mortensen in Eastern Promises</i></i><br />‘><br /><i><i>Viggo Mortensen in Eastern Promises</i></i><br /></TD></TR></TABLE>davanti ai boss della mafia, Nikolai narra, spiega, recita davvero solo e unicamente con l’esposizione del corpo</strong>. Un corpo imperfetto, umano, un’ostensione quasi sacra, in grado di esprimere potere, violenza, sessualità, significato: egli è in tutto e per tutto ciò che di lui si vede. E la sua nudità, così definitivamente senza rimedio, che lo espone alle armi da taglio in una spinta estenuante verso la morte, colpisce rabbiosamente ogni senso, oltre la vista, coinvolgendo anche il corpo di chi è obbligato a guardare l’osceno. Un fuori scena messo dentro la scena, che è la scena, mai così ammirabile, desiderabile, commovente, produttrice di senso.<br />
Lì sta tutto il film di Croneberg, lì è il passato di Stall, lì si completa la metamorfosi di Nikolai/Joey: davvero qui il tempo si ferma e la Storia non è più in grado di modificare il destino di un uomo.</p>
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					<em>A cura di Francesca Bertazzoni</em><br />
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