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cultura dell'immagine e della parola

Tu mi fai girar…

Tu mi fai girar…

Un uomo dallo sguardo vago e impaurito guarda fuori da una finestra. E’ mattina, è vestito, sembra pronto per uscire, ma non fa niente se non guardare all’esterno. Lars e una ragazza tutta sua si apre con questa immagine. Un’immagine eloquente che immediatamente descrive il carattere di Lars: timido, solitario, problematico. A poco a poco lo spettatore entra in punta di piedi nella sua vita, scrutandone con discrezione i movimenti, i luoghi e le persone che lo circondano. La regia di Craig Gillespie, al suo primo lungometraggio dopo numerosi premi vinti in pubblicità, si adegua alla strana storia di Lars e mette ritmo e macchina da presa al suo servizio. Una storia di buoni sentimenti, in cui la solidarietà vince sulla paura e la cattiveria. Un film che sulla carta risulta stucchevole e carino: in una parola “sundanciano”. Varrebbe a dire, un’opera ben girata che racconta una storia spesso dai temi forti, cercando di andare a stuzzicare il lato buono del pubblico. Come Little Miss Sunshine (id., J. Dayton e V. Faris, 2006) o Guida per riconoscere i tuoi santi (A Guide to Recognizing Your Saints, Dito Montiel, 2006) che infatti trionfarono al festival voluto dal democratico e impegnato Robert Redford.

Lars però ha qualcosa di diverso. Sembra godere di una vera spontaneità, meno ricercata. In fondo Lars è un uomo qualunque: fa fatica a rapportarsi con le donne, è insicuro di se e dei suoi sentimenti. Nella vita vera il povero Lars sarebbe stato abbandonato a se stesso o forse rinchiuso in qualche ospedale, ma qui si tratta di cinema e il cinema è sempre più grande della vita. Arriva dunque il colpo di scena, utile anche per farci riflettere su noi stessi. Entra in scena Bianca, la donna ideale: muta, remissiva e anatomicamente perfetta. Come già fece Edward Norton in Fight Club (id., David Fincher, 1999), Lars, non appena incontra una donna di cui potrebbe innamorarsi davvero, si crea una vita diversa che lo possa allontanare da lei per non soffrire. Norton crea Tyler Durden, Lars invece ordina una compagna perfetta su Internet. E in fondo chi non ha mai sognato di farlo? Si tratta anche di un tema già trattato più volte al cinema: La fabbrica delle mogli (The Stepford Wives, Bryan Forbes, 1975), La donna esplosiva (Weird Science, John Hughes, 1985), S1mone (id., Andrew Niccol, 2002) Una donna su misura (Renato Pozzetto, 2007) e molti altri.

La bravura interpretativa di Ryan Gosling e la leggerezza descrittiva del regista Craig Gillespie rendono credibile lo strano pazzo mondo di Lars e addirittura ci convincono. Nonostante la retorica dei buoni sentimenti, nonostante Lars sia più dolce di un cucciolo abbandonato, il risultato non è mai né stucchevole né dolciastro. Una specie di piccolo miracolo che commuove e appassiona, senza oltrepassare mai il confine tra credibile e incredibile. E Ryan Gosling, dopo aver interpretato un ebreo naziskin (The Believer – id., Henry Bean 2001) e un professore drogato (Half Nelson – id., Ryan Fleck 2006), dimostra ancora una volta di essere uno dei volti più interessanti del cinema del futuro.

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