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Verità sotterranee

Verità sotterranee

Koulbou è seduto nel suo ufficio. Bolle di sapone riempiono la stanza, in cui troneggia la foto del presidente Habré. Lo sguardo perso, il ghigno crudele. All’improvviso convoca il suo factotum e ordina una nuova “aerazione” per i prigionieri. Koulbou è il capo della Dds (Direction de la documentation et de le sécurité), la polizia politica ciadiana del regime di Habré che, in otto anni, ha ucciso più di quarantamila persone. Una prigione sotterranea dove gli oppositori politici sono rinchiusi. Mani e piedi legati, buio, cadaveri, condizioni igieniche terribili. Tra loro anche il giovane Adoum Baroum, un giornalista indipendente che stava cercando di fuggire in Belgio per far conoscere all’estero le reali condizioni del suo Paese. Il regime non tollera critiche e si alimenta quotidianamente di paranoie, vedendo ovunque possibili oppositori. Nel carcere i prigionieri vengono sfamati con le “tartine”: pane misto a escrementi di pecora. Ogni tanto qualcuno viene asfissiato con il tubo di scarico dell’automobile, oppure viene gettato nel fiume, o ancora seppellito in una fossa comune. Un incubo orchestrato dalla diabolica mente di Koulbou.

Il regista ciadiano Serge Coelo ha deciso di gettare uno sguardo sulla storia del suo Paese, per far conoscere al pubblico internazionale una realtà troppo spesso taciuta e dimenticata. Un film coraggioso, che ha dovuto scontrarsi con la censura e il perbenismo dei politici ciadiani. Un’accusa forte al regime di Habré e a chi lo ha sostenuto (Francia in primis). Una denuncia che si estende a qualsiasi tipo di dittatura, presente e passata. Un’esibizione della violenza senza veli, dura e cruda, lontana dalla ricerca estetica. Un pugno diretto nella pancia dello spettatore, che lo costringe ad aprire gli occhi e a prendere coscienza di questa verità nascosta.

Realizzato con un budget ridottissimo, il film si perde un po’ nella seconda parte, a causa di una sceneggiatura debole. Resta però la grandissima prova dell’attore Youssouf Djaoro, già noto al pubblico per aver recitato in Daratt del regista ciadiano Mahamat-Saleh Haroun. L’attore, presente in sala in occasione del XXVII Festival di Cinema Africano di Verona, ha confessato di essersi immedesimato nel colonnello al punto di stare male e iniziare a preoccupare la moglie per il comportamento psicopatico assunto.

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