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Da Zengi a The Box Game

Era il luglio del 2001 quando, in un’estate senza mondiali o olimpiadi che potessero soddisfare i miei palinsesti televisivi, un programma catturò decisamente la mia attenzione, così come quella di moltissimi altri nottambuli del piccolo schermo. Si chiamava Zengi e il suo meccanismo era semplice quanto astuto: due prosperose intrattenitrici (inizialmente Jane Alexander e Sonia Aquino) si alternavano alla conduzione di semplici giochi enigmistici, che il pubblico da casa doveva risolvere chiamando un numero a pagamento. Zengi funzionò grazie a un mix di carica erotica e ironia, che manteneva incollati allo schermo. Per qualche mese andò più che bene, poi ci si accorse che qualcosa non andava. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aprì un’inchiesta e deferì il programma alla magistratura ordinaria per pubblicità ingannevole, dato che agli spettatori non veniva comunicata l’esistenza di un sorteggio per partecipare, ma solo continuamente ricordato come le linee fossero libere e che sarebbe stato automatico partecipare al gioco. I produttori di Aran Endemol e La7 riuscirono a uscirne indenni, ma la trasmissione fu interrotta. O almeno lo fu su La7, perchè da allora moltissime reti minori iniziarono a intramezzare la programmazione soft core notturna con giochi di quel tipo, anzi ancora più ambigui, dato che, come si è poi scoperto (vedi l’inchiesta apparsa su Il Giornale dell’agosto dello scorso anno), spesso non erano nemmeno in diretta o in ogni caso non permettevano di partecipare realmente.

Ora, dopo una presentazione come questa qualcuno può pensare che trasmissioni di questo tipo seguano una “scelta di puntare sugli ingredienti dell’autenticità e della ricerca dell’intelligenza nella programmazione”? Perchè in questo modo cinque anni fa Luca Tiraboschi, appena nominato direttore di rete di Italia 1, definiva la sua strategia per i palinsesti. Ricordo anche che in quella stessa occasione continuò con frasi del tipo “Quando si tratta di serialità bisogna dare garanzie allo spettatore”. Così, quando dopo aver seguito l’ultima puntata di Heroes mercoledi all’1 di notte (gli altri episodi erano andati in onda di domenica in prima serata), ho visto la sigla di un nuovo programma chiamato The Box Game, mi aspettavo un pò di intrattenimento fatto di autenticità e intelligenza. Cosa ritrovo invece? Una nuova versione di Zengi, solamente meno ironica e più idiota. La cartella stampa di Italia 1 definisce i suoi conduttori “giovani, belli e frizzanti”: in realtà si tratta per lo più di esiliati da reality show (Melita Toniolo e Giorgio Alfieri) o di personaggi che sembravano finiti nel dimenticatoio (Alessia Fabiani e Luca Abbrescia). Jane Alexander e Sonia Aquino a confronto sono novelle David Letterman. Ma il fatto che i conduttori siano in continuo imbarazzo, non sappiano cosa dire e sembrino messi lì per caso, finisce per passare in secondo piano: in fondo di tv scadente ne vediamo a pacchi. Il problema è che nuovamente ci troviamo davanti a una vera e propria truffa legalizzata. Come ha dimostrato anche Striscia la notizia, è praticamente impossibile partecipare ai giochi e chi telefona da casa finisce solo per spendere un sacco di soldi, senza poter veramente vincere. Una volta per tutte si è capito dove sta l’autenticità di Tiraboschi: negli euro che intasca da The Box Game. Quelli di sicuro non sono falsi.

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