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Festa di Roma
Gavin Hood

Reese Whiterspoon, il regista Gavin Hood e Jake Gyllenhaal a RomaRoma, 21.10.2007. Reduce dal successo di due anni fa con Tsotsi, premiato con il Premio Oscar per miglior film straniero, il regista sudafricano Gavin Hood torna dietro alla macchina da presa con Rendition, pellicola presentata nella sezione Première alla Festa del Cinema di Roma. Muovendosi su due continenti, il film segue la storia delle vite di Douglas Freeman, (interpretato da Jake Gyllenhaal), un analista della CIA di stanza in Nord Africa, di Anwar El – Ibrahimi, ingegnere chimico american–egiziano, accusato ingiustamente di essere un terrorista e misteriosamente scomparso, e di sua moglie Isabella, (Reese Whiterspoon), che fa di tutto per conoscere la sorte del marito.

Rendition esplora in maniera intrigante la cosiddetta “extraordinary rendition”, ovvero quella locuzione inglese con la quale si descrive quell’azione, sostanzialmente illegale o extralegale, di cattura e detenzione clandestinamente eseguita nei confronti di un “elemento ostile”, sospettato appunto di essere un terrorista. Dopo gli attacchi dell’11 settembre del 2001, questa prassi pare sia aumentata da parte dei servizi segreti americani, che hanno sempre motivato questo atteggiamento come l’unico modo per combattere e difendersi dal terrorismo.
Nonostante una buona sceneggiatura di Kelley Sane, che ha costruito la storia su piani diversi per poi intrecciare i diversi personaggi, e qualche ottima performance individuale (Gyllenhaal o Streep), Rendition, non convince completamente e risulta un lento e scontato.

Il tema, forse, poteva essere affrontato in maniera più approfondita, concentrandosi anche maggiormente su alcuni personaggi. Jake Gyllenhaal è una delle note positive, interessante da seguire per il suo calarsi continuamente in ruoli sempre più diversi e complessi: è uno degli attori più poliedrici e talentuosi della sua generazione. Meryl Streep, sempre alla ricerca di nuove sfide recitative, nonostante un passato, ma anche un presente, di prestigio, appare in un ruolo duro, cinico, come quello del capo della CIA, Corinne Whitman, che incredibilmente le calza a pennello.
Fondamentalmente, il tentativo di Gavin Hood di mostrarci quel lato un po’oscuro, forse sbagliato, (un)politically correct dell’America degli ultimi anni, non è da sottovalutare, e neanche totalmente da bocciare. Le basi c’erano, è il risultato che è mancato.

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