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Spia ed espia

Il sig. McEwan, inglese doc, quasi sessantenne, è sicuramente persona seria ed equilibrata. Uno che riflette molto e su molte cose prima di compiere un’azione, a livello letterario e forse non solo. Uno che guarda, osserva, nota. Con più metodo che passione, con più destrezza che suspence. Espiazione, lo dice già il titolo: un doloroso cammino, una pena protratta per giustizia, un meritato tributo di sofferenza. Si metta su questa via una ragazzina tredicenne (Briony) totalmente estranea alla realtà, non proprio semplice, degli anni trenta inglesi, e si aspetti. E, un poco, si speri.
Film e libro allungano le loro gambe fino agli anni novanta, quando la ormai vecchia Briony, diventata scrittrice di successo, illustra al pubblico il suo ultimo romanzo, molto autobiografico. Da qui tutto parte: la figura di Briony è emblematica di un amore profondo e consapevolmente ingenuo per i libri, la letteratura, la scrittura. McEwan sembra scrivere in prima persona. L’equilibrato McEwan, si ricordi. Quasi flemmatico. Per palati finissimi, quasi invisibili.
Il film non può che essere meno raffinato. Sbaraglia le difficoltà intrinseche di riprodurre la descrittività amanuense di McEwan, con un progredire, tra le sequenze della storia, molto essenziale e rispettoso della trama originale.

Briony sembra da subito una creatura troppo sensibile per il mondo che le si prepara davanti. La guerra, la povertà, gli stravolgimenti dentro e fuori la sua famiglia. Una permeabilità al mondo non sempre evitata per scelta, che la segna e che più volte la pone nel posto sbagliato, al momento più sbagliato. Una scena scostumata, un galeottissimo bigliettino, una focosa posa acrobatica nella biblioteca di villa Tallis. Cecilia, la sorella maggiore, e Robbie, il figlio della serva, – che qui non rispetta il proverbio e vive felicemente gomito a gomito coi giovani padroni – sono i protagonisti di questi momenti, ai quali Briony assiste, con stupore composto ma terribile. Robbie, il suo unico grande amore di carne e ossa, è innamorato di sua sorella e lo dimostra a pieni voti. La testa, Briony, la perde a modo suo, ordinatamente, senza rumore, ma la perde e le conseguenze non mancheranno d’arrivare.

E’ incredibile quanto, nei momenti cruciali del romanzo, McEwan stringa ancora di più l’obiettivo sul perché i personaggi agiscano in un modo e non in un altro. L’azione non interessa, mentre, invece, a essere indagato è il sintomo, la psicologia. Tutto si rallenta e si ispessisce, per fare posto, anche nel film – con sorpresa e onore – a un attento [img4]lavorìo della coscienza su se stessa e sui personaggi. Graditissime le musiche, modulate a partire dal ticchettio della macchina da scrivere di Briony, e che, di lei, rispecchiano l’inquietudine, con un andamento sincopato ma positivo, marciante ma allegro.

Espiazione, in entrambe le sue declinazioni, non è un prodotto per tutti, è un ottimo prodotto per pochi. Il film è riuscito, non solo paragonandolo al libro, e risulta avere uno status autonomo interessante mentre il romanzo è letterariamente casto – pulito e limato a dovere – nel riflettere e nell’esprimersi e incredibilmente moderato, nell’essere uno dei più importanti romanzi della letteratura contemporanea mondiale.

Espiazione, romanzo di Ian McEwan, 2003
Espiazione, regia di Joe Wright, 2007

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