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Dopo l’angoscia

Dopo l'angoscia

Qualche anno fa un’ondata di film diede nuovo vigore a un genere, quello degli zombie movie, che da quasi due decenni stagnava ai confini del cinema di serie B. Si trattava di pellicole come L’alba dei morti viventi (Dawn of the Dead, Zack Snyder, 2004), Resident Evil (id., Paul W.S. Anderson, 2002) e 28 giorni dopo (28 Days Later…, Danny Boyle, 2002). Se i primi due film furono il trampolino di lancio per un regista di sicuro talento (Snyder ha poi diretto 300 – id., 2006) e per una saga di sorprendente successo (300 milioni di dollari di incasso), il terzo aveva lasciato i presupposti almeno per un seguito. Danny Boyle, impegnato sul set di Sunshine (id., 2007) non ha poi in effetti diretto 28 settimane dopo, lasciando invece il posto al quasi esordiente Juan Carlos Fresnadillo.

L’elemento più interessante di 28 giorni dopo stava nella drammaticità del racconto, che spesso usciva dagli schemi dell’horror per trasformarsi in una sorta di tragedia di stampo shakespeariano, in cui l’angoscia dei protagonisti si trasferiva empaticamente nello spettatore non grazie a effetti gore, ma per un’atmosfera, uno sguardo, un’inquadratura. Fresnadillo, rispetto a Boyle, non sempre riesce in questo intento. O meglio, forse nemmeno si è cimentato con questo intento. Inizia con una scena stupenda, cattiva e selvaggia, ma poi finisce spesso per cedere ai clichè visti e rivisti del cinema zombie o più in generale horror. Climax tirati all’estremo, protagonisti che sopravvivono anche in situazioni impossibili, salvataggi dell’ultimo secondo. Sono elementi che vorremmo evitare in film come questo. Ma il regista spagnolo preferisce incentrarsi sulla formalizzazione della messa in scena, e su quanto una camera a mano utilizzata con montaggio serrato e linguaggio da videoclip possa rendere (ir)realistica una scena horror. Le parti più riuscite sono invece quelle in cui ci si limita a raccontare una Londra abbandonata e bombardata, in cui i personaggi con la stessa facilità si amano e si sbranano. Qui tornano i temi che avevano reso il primo film della serie un riferimento del genere, e qui 28 settimane dopo torna a farsi interessante e veramente horrorifico, anche grazie a un ottimo cast, che comprende lo scozzese Robert Carlyle, la stupenda Rose Byrne e il disperso (nel senso di Lost) Harold Perrineau.

In attesa che Boyle quindi torni al timone per 28 mesi dopo, previsto comunque non prima del 2010, ci si può comunque godere questo secondo capitolo che non sfugge completamente dagli schemi da film di genere, forse perchè, in fondo, lo è.

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