Un bambino per cinque
John e Dean, quasi gemelli, sono due “deficienti” patentati. Imbranati con le ragazze, vengono presentati da subito come due casi umani. Bizzarri nei comportamenti e nei modi di parlare, pensano che per mostrare affetto e riconoscenza al padre della propria ragazza sia opportuno baciarlo sulle labbra, o che per corteggiare una donna sia normale amministrazione pagarle la spesa al supermercato e pretendere che lei poi accetti un appuntamento.
Ecco come da subito Bob Odenkirk presenta i due protagonisti del film. Semplici al punto tale da risultare stupidi e ingenui, i fratelli Solomon sono più che altro due macchiette mal riuscite. Dopo la presentazione dei personaggi (alquanto banale), ecco il primo colpo di scena che dovrebbe smuovere le acque e animare le vicende di questi due individui la cui piatta vita si divide tra la casa e il videonoleggio: l’improvvisa malattia del padre. E qui iniziano tutta una serie di situazioni tanto assurde quanto surreali, che sono più che altro un’accozzaglia di gag scarsamente divertenti, a iniziare dalla scena in cui prima di andare in ospedale i due fratelli decidono di fare una capatina al videonoleggio per “risolvere una questione” e perdono il loro tempo nella scelta di un film gratuito (il che impedirà loro di salutare il padre per l’ultima volta, entrato in coma quattro o cinque minuti prima del loro arrivo). Le risate iniziano a sprecarsi.
L’unico modo per poter salvare il padre, che aveva cresciuto i figli in totale solitudine (e si vede!), è dar lui una speranza, cioè quella di realizzare le sue ultime volontà: avere un nipotino. Va da sé che le scarse abilità, già fin troppo ostentate, dei due fratelli Solomon non renderanno le cose facili. Ecco quindi che Bob Odenkirk lancia il secondo input per lo sviluppo della commedia: la disperata ricerca.
I tentativi sono numerosi fino a quando, come per incanto, i due hanno un’idea geniale. Naturalmente, la più ovvia, quella che era sempre stata davanti ai loro occhi: mettere un annuncio per una madre in affitto. E qui entra in scena Janine, una bella pancia (e soprattutto un utero) in prestito. Tutto sembra andare per il meglio, fino a quando al terzo trimestre la graziosa mammina (con 10.000 dollari in tasca) non decide di volersi tenere il bambino. Ed eccoci arrivati al nostro terzo colpo di scena. La fuga della “bella” e la nuova, disperata ricerca.
Le situazioni comico grottesche non si sprecano, anche se in effetti si ride ben poco. Il film si presenta più che altro come un’accozzaglia di gag pseudo-divertenti che cercano troppo l’eccesso e forse anche per questo perdono il loro potenziale di comicità. A infarcire la commediola già in partenza mal riuscita arriva il bel finale a sorpresa, che in maniera sconvolgentemente banale rimette a posto i cocci con un quadretto di famiglia che rasenta l’inverosimile.
A cura di Delia Parodo
in sala ::