Prison Break – Seconda stagione
In questi giorni di “supereroi da fumetto”, sulla tv italiana è tornato anche un supereroe senza superpoteri. Attesissima dalla non piccola schiera di fan che si è guadagnata lo scorso inverno, è infatti arrivata il 14 settembre su Italia1 la seconda serie di Prison Break: i fan che sono rimasti all’ultima puntata della prima stagione, in angosciosa attesa di sapere “che ne sarà di loro” avranno finalmente una risposta. O due, tre, quattro… le trame narrative del telefilm che nella prima stagione correva sul doppio binario, questa volta si moltiplicano: gruppo evasori da Fox River/ gruppo avvocati e dintorni in lotta col cattivo/governo.
L’ultima inquadratura li vedeva in fuga su una pista d’atterraggio, braccati dai servizi segreti: qualcosa non era andato per il verso giusto nel piano di Michael Scofield per liberare il fratello Lincoln, e l’unica cosa da fare era “cominciare a correre”. Gli otto di Fox River, non più accomunati e inclusi dalle mura del penitenziario, iniziano a disperdersi. Il gruppo forzato si sgretola e ognuno va in cerca di ciò che lo ha spinto a evadere. Chi di una donna, chi della famiglia, chi della verità… c’è però una forza centripeta che presto riavvicinerà tutti gli anti-eroi (tranne uno, indovinate chi?): il denaro, quei 5 milioni di dollari nascosti da Charles Westmoreland e di cui in troppi sono venuti a conoscenza.
L’opposizione tra costrizione e speranza di libertà prende la forma della caccia all’uomo, in un gioco a guardie e ladri che è quanto di più ambiguo possa esserci in un universo criminale. Michael adesso ha un avversario più duro delle mura di Fox River, qualcuno in grado di leggere nella sua mente, qualcuno in grado di decifrare il corpo/mappa che ha usato come guida per evadere dal carcere: l’agente federale Alexander Mahone, un nuovo regular character della serie (interpretato da William Fichtner, lo sceriffo di Invasion). Si moltiplicano dunque le tracce narrative – una per ogni evaso più inseguitori – e s’intersecano a tratti, in una struttura più ingarbugliata e ricca di colpi di scena rispetto a quella cui eravamo abituati. Si moltiplicano anche i punti di vista dei personaggi e “sui” personaggi, la cui natura emerge a confronto con la realtà di una fuga che da microcosmica diventa macrocosmica: prima bisognava scappare dal carcere, adesso bisogna scappare dall’America.
Soprattutto, è possibile scappare da se stessi? La domanda implicita aleggia sulle 22 puntate che, quelle sì, scappano via veloci a condurre ad un nuovo micidiale livello del game.Gli aspetti che nella prima serie erano più o meno nettamente separati, ora si fondono in un magma che confonde i confini tra il bene e il male: le caratteristiche da thriller politico sono saldamente ancorate con il tronco narrativo principale della fuga/ricerca, a cui si aggiungono anche l’intreccio amoroso (ebbene sì, la dottoressa Sara Tancredi non è morta) e un sottofondo filosofico che pone continue domande sulla natura delle azioni umane. Se la prima stagione era piaciuta al pubblico, americano e non, creando un’altra valida alternativa per i telefilmaniaci, la seconda ha avuto un riscontro tale da indurre la Fox a rimandare il finale. Il 17 settembre, negli USA, inizia la terza stagione (inizialmente non preventivata). E il nuovo incubo si chiama “Sona”.
A cura di Antiniska Pozzi
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