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cultura dell'immagine e della parola

Milano Film Festival12
19 settembre

Una scena da <i>Beijo de sal</i> di Gamaro Barbosa” />Il primo cortometraggio è <em>Help is coming</em>, otto minuti in bianco e nero per denunciare con una metafora fiabesca l’inattività del governo Bush nei confronti dei sopravvissuti all’uragano Katrina.<br />
Il regista <strong>Ben Mor</strong> mostra la dura realtà della distruzione e dell’abbandono delle zone colpite in modo tanto paradossale da farla apparire irreale, ricordando le ambientazione immaginarie di <em><A href=Big Fish(Tim Burton, 2003) . Sale sul palco accompagnato dall’applauso soddisfatto del pubblico e per una volta assistiamo all’intervista di un regista che ha talmente tanto da dire che parla di filato per almeno cinque minuti.
A questo punto è doveroso assegnare una nota di merito al traduttore, che non solo ha tradotto ogni singola parola (dimostrando di avere una memoria da elefante), ma ha interpretato il discorso con la giusta enfasi e le pause adatte, mettendo in luce anche ottime qualità interpretative. Un meritato applauso anche a lui!

Le luci si abbassano e lo spettacolo riprende con Rewind, corto indiano di Atul Taischete. Come suggerito dal titolo le immagini scorrono sullo schermo al contrario, ma la storia raccontata dalla voce narrante segue il normale svolgimento temporale, creando una frattura tra immagini e racconto.
Pur essendo un lavoro interessante, si ritrova costretto all’arduo confronto con la geometrica perfezione del corto spagnolo La rota natural, vincitore dell’edizione del 2005.

Si prosegue con Beijo de sal, del regista brasiliano Gamaro Barbosa, ennesimo esempio di come quest’anno la selezione abbondi di cortometraggi dai contenuti erotici (a volte anche molto espliciti) e Another lost soul, del regista canadese Lyle Pisio, dimostrazione di un cinema sperimentale tanto particolare per la tecnica quanto privo di sostanza e contenuto.

La sala si rianima con Valuri, tragicomico intreccio di storie dalla dolce e divertente (ma soprattutto auspicata) happy end. Il regista rumeno Adrian Sitaru e l’attrice principale salgono sul palco a raccontarci di come sia nata l’idea del film e di come si siano conosciuti, con tanto di provino via internet.
Il gruppo si chiude in bellezza con un animazione in plastilina Liebenskrank (Lovesick) della regista tedesca Spela Cadez anche lei presente in sala. Scopriamo così che l’ispirazione per questo corto viene da un sogno e dalla sua assoluta passione per la plastilina, tecnica che le permette in un certo senso di “toccare con mano le idee”.

È tardi, è tempo di andare a cena.
Registi e spettatori escono insieme commentando lo spettacolo appena finito. Il MFF, il 12°, è nel mezzo della sua fase adolescenziale, in bilico tra la minore e la maggiore età. Per il momento riesce equilibratamente a convogliare tutti pregi di un grande festival alle qualità di un evento ancora a misura di spettatore.
E noi, da parte nostra, speriamo solo che duri.

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