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Abbiamo tutti quanti bisogno di un Dio

Abbiamo tutti quanti bisogno di un Dio

Quando decidi di leggere un libro di Ammaniti decidi che non vuoi sorprese. Vai sul sicuro: sai che continuerai ad amarlo, se lo ami, o continuerai ad odiarlo, se lo odi. Le vie di mezzo poco si adattano ai reduci della gioventù cannibale , questo si sa.
Ammaniti è uno scrittore popolare: scriveva romanzi popolari quando si muoveva nel sottosuolo del Pulp anni Novanta e scrive romanzi popolari oggi che si è dato al mainstream. È schietto e non fa il letterato: questo in Italia succede di rado, troppo. E poi scrive bene, con una chiarezza e un’efficacia difficile da trovare nel nostro paese, nella nostra lingua letteraria o burocratica o televisiva.

Ma questo già si sapeva. E in questo senso quest’ultimo libro non nasconde sorprese. A uno sguardo superficiale, in effetti, le sorprese sono poche. Tanto poche che Come Dio comanda appare inizialmente come una summa poetica, o peggio un collage di estratti dalle opere precedenti. C’è tutto: la campagna devastata dell’Italia centrale, il ragazzino solo (solo con la campagna, con la sua adolescenza, con suo padre), un Paese fatto di comprensori abitativi e televisione spazzatura, abitato dalla sua ambigua umanità di naziskin, pazzi, storpi, alcolizzati e impasticcati. C’è persino una lunga notte apocalittica che scompone e rimescola le vite dei protagonisti (vedi L’ultimo capodanno dell’umanità, in Fango ), nella quale (cito la quarta di copertina) è proprio il fango che sembra seppellire ogni speranza.
Dunque un ritorno alle origini, almeno in parte. Una svolta brusca dopo i toni relativamente soft e le tinte pastello di Io non ho paura, una ripresa decisa dei colori forti e della prosa appuntita delle prime prove. Un’opera narrativamente nemmeno troppo interessante, ben lontana dall’equilibrio quasi perfetto di un romanzo come Ti prendo e ti porto via.
Questo ad un primo sguardo. Ma naturalmente non finisce qui: un silenzio di cinque anni e un ritorno al (sanguinolento) grembo materno non significano quasi mai, in uno scrittore smaliziato come Ammaniti, manierismo. Tutto al contrario.
E quindi? Cosa c’è di nuovo in questo romanzo, che già non appartenesse al narratore che tutti conosciamo? La risposta è semplice, ed è ben visibile fin dal titolo: Dio.
È Dio la vera chiave di svolta di questo romanzo, il perno attorno a cui ruota la faccenda e l’elemento inedito che segna la rottura con tutte le opere precedenti. Un Dio che non si trova, che ordina omicidi, che impone voti grotteschi, che muove gli esseri umani come fossero pedine di un gioco da tavolo; un Dio fondamentalmente assurdo, ma pur sempre Dio.
Il divino, come qualsiasi altra forma di spiritualità, era sempre stato il grande assente della narrativa di Ammaniti (e della narrativa anni Novanta più in generale): anzi, era proprio l’assenza di Dio a giustificare tanto incomprensibile spargimento di sangue. E il ritorno di Dio si accompagna, coerentemente, ad un ritorno della terza dimensione, ad un tentativo comico e terribile dei personaggi di uscire dal loro mondo bidimensionale, da quel grado zero della parola e della vita che viene anche detto, più comunemente, società dei consumi. Il risultato è un fitto dialogo interiore dei personaggi con sé stessi (con le proprie illusioni irraggiungibili, con le proprie paranoie concretizzate in deliri) che sembrano (in qualche splendida scena) avvicinare questo libro di Ammaniti ad un caposaldo del postmodernismo anni 90 come Tolleranza zero di Irvine Welsh.

Come Dio comanda è un romanzo di passaggio. È il romanzo in cui si compie la tormentosa mutazione di uno scrittore (di una generazione, di un paese) in una direzione non meglio definita. Ammaniti non dice: “Dio esiste”, dice: “Abbiamo bisogno di Dio”. È proprio l’impressione che si ricava a lettura conclusa. Come Dio comanda non è il migliore dei libri di Ammaniti, ma il primo che tenti una risposta al nichilismo della nostra epoca. Se, come sembra, una trasformazione è in atto va seguita molto attentamente. Potrebbe essere l’inizio di qualcosa. Oppure no. Ad ogni modo ci prova, e questo è senza dubbio un merito.

L’autore
Niccolò Ammaniti è nato a Roma nel 1966. Ha esordito nel 1994 con il romanzo Branchie , (Editrice Ediesse, poi Einaudi, 1997). Nel 1995 ha pubblicato il saggio Nel nome del figlio , scritto con il padre Massimo, e nel 1996 la raccolta di racconti Fango (Mondadori). Suoi racconti sono usciti nelle antologie Gioventù cannibale (Einaudi, 1996) e Tutti i denti del mostro sono perfetti (Mondadori, 1997). I suoi libri sono stati tradotti in francese, tedesco, spagnolo, greco e russo. E’ del 1999 Ti prendo e ti porto via (Mondadori), mentre nel 2001 pubblica per Einaudi Io non ho paura.Nicolò Ammaniti ritorna al fumetto, genere che ha contribuito a formare lo stile narrativo dello scrittore. Fa un pò male è il libro pubblicato nel 2004 (Einaudi) che contiene tre brevi romanzi a fumetti sullo sfondo di una Roma minore, in una periferia pasoliniana ricca di storie e personaggi grotteschi. Ha vinto la 61° edizione del Premio Strega nel 2007 con Come Dio comanda (Mondadori).

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