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Buona maestra televisione

Buona maestra televisione

Ispirandosi al romanzo della scrittrice norvegese Karin Fossum, l’esordiente Andrea Molaioli ha scelto di ambientare la vicenda in un’indefinita provincia del Nord-Est, che mitiga i suoi morbidi e rassicuranti paesaggi con quel senso d’inquietudine che solo una calma eccessiva e apparente riesce ad incutere.
Il corpo della vittima, paradigma visivo dell’intera storia, racchiude in sé amore e morte: il modo in cui il carnefice lo adagia sulla sponda verdeggiante corrisponde ad un sentimenti di rispetto e di tenerezza nei confronti della ragazza. Interessante la sensazione perturbante di lampante bellezza, ancora eclatante persino nella morte, osservata e ri-osservata nelle immagini riprese dalla videocamera del padre della vittima.

Il vero protagonista della storia è, in ogni caso, il commissario interpretato da un ironico e defilippiano Toni Servillo, la cui nonchalance partenopea non può che attirare le maggiori simpatie del pubblico, rispetto agli abitanti del paesino, ognuno delicatamente sospettabile. Proprio il modulo eccessivamente inquadrabile nei meccanismi della fiction italiana costituito da un commissario caparbio e flemmatico (con tanto di spalla, Nello Mascia), tormentato ma non troppo da problemi personali, e dal caso facile da risolvere solo alle prime apparenze, ha indotto la critica più malevola a non esaltare il film come opera cinematografica, ma soltanto come possibile primo episodio di una serie tv ancora da scrivere.

In effetti, nessun particolare taglio registico, nessuna riproposizione inedita del racconto investigativo separano La ragazza del lago dalla narrativa televisiva. L’accostamento è inevitabile se si accosta il film ad alcuni ottimi esempi di miniserie di ampio successo e spessore anche visivo e drammaturgico, modelli che sicuramente hanno ispirato il regista.
Tuttavia il prodotto non stupisce e nemmeno annoia, mantiene l’andamento narrativo classico del genere poliziesco, che non esalta ma neanche infastidisce. La presenza perturbante di una morte famigliare, così di moda nelle narrazioni della cronaca media (e dei media), si trasforma in una bellezza estetica e formale di poco spessore.

Ottimi in ogni caso Servillo e Fabrizio Gifuni, qui in una veste insolita, e meritata dunque la collocazione nella sezione Settimana della critica dell’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

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