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Homer a sedici noni

Homer a sedici noni

Dal secondo dopoguerra a oggi, è interessante notare come ciclicamente si siano affacciati sul proscenio della cultura popolare dei prodotti apparentemente leggeri e disimpegnati, capaci di sondare con incredibile precisione le tematiche più alte.

I primi sono stati i Peanuts di Schultz negli anni Cinquanta, protagonisti di un vero e proprio trattato di psicologia a fumetti. Poi è venuto il turno di Mafalda, negli anni Sessanta, con le sue riflessioni squisitamente politiche. Mentre gli anni Ottanta hanno visto protagonisti Calvin & Hobbes, efficacissimi nello spostare l’analisi sul piano filosofico.
I Simpson, da questo punto di vista, rappresentano l’ennesimo passaggio di testimone di una tradizione che, a cavallo tra il secondo e il terzo millennio, ha deciso di focalizzare la propria attenzione su questioni prevalentemente sociologiche e antropologiche.

Fatta questa premessa, possiamo parlare della prima volta di Homer sul grande schermo. Innanzitutto vi pregherei di tenere gli occhi fissi qui sull’articolo. No, non spostateli in alto a destra; lasciate perdere il numero di stellette che ho assegnato alla pellicola. Sì sono, sette, ma potrebbero benissimo essere di più o di meno. Non è importante. Davvero. Se c’è una cosa antipatica, davanti a un prodotto di questo tipo, è cercare di tranciare un giudizio del tipo “bello o brutto”. Una valutazione di quel genere ci sarebbe potuta stare se I Simpson – Il film fosse stato (come forse molte si aspettavano) una sorta di autotributo alla grandezza simpsoniana, alle diciotto edizioni della serie televisiva, al suo status di icona pop.
Fortunatamente non è andata così: il debutto cinematografico della gente di Springfield non si è trasformato in un monumento alla memoria. E questa è la conferma che Matt Groening e i suoi complici hanno ancora qualcosa di importante da dirci.

L’obiettivo dichiarato dallo staff che ha lavorato al lungometraggio era quello di creare una nuova storia della famiglia gialla “che avesse bisogno degli ampi orizzonti offerti dalla pellicola”, come ha dichiarato in un’intervista lo sceneggiatore Al Jean. Non una storia “definitiva” o “migliore” rispetto a quelle della serie televisiva, semplicemente un racconto tagliato sulle caratteristiche del mezzo che lo avrebbe diffuso.
Missione portata a termine nel modo più corretto: I Simpson – Il film è infatti una pellicola squisitamente cinematografica, per il ritmo, il respiro, la scelta degli ambienti e la costruzione dell’intreccio. Il tutto ingioiellato con alcune gag assolutamente devastanti e con sprazzi di quella satira acuminata che caratterizza da sempre il prodotto per la Tv. Ulteriore dato positivo, la scelta degli autori di gestire con misura l’utilizzo di citazioni hollywoodiane, che sono sì molte, ma che saggiamente vengono proposte senza quell’autocompiacimento che ultimamente rende vagamente indigesta la maggior parte dei prodotti d’intrattenimento dichiaratamente “postmoderni” (Shrek su tutti).

Certo, non si tratta di un capolavoro assoluto. Anzi, considerando il film in quanto tale non si tratta nemmeno di un capolavoro. È “solo” un tassello in più di un mosaico la cui complessità risalta maggiormente quanto più lo si guarda da lontano. E per questo merita rispetto.

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