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Rappresentazioni italiane

Rappresentazioni italiane

Questione di sguardo di Francesca Bertazzoni *******

Lunghe panoramiche su una Roma dai mille volti, quella ricca delle ville sui colli, quella struggente e decostruita delle antiche rovine, quella delle periferie suburbane, fatte di cocci di palazzi, di un in divenire che sa già di vecchio e decadente.
Marra racconta una storia lineare, già conosciuta, sentita tante volte da divenire ormai cosa nostra, storia normale, priva di una novità significativa: è il racconto della corruzione, della sua nascita e della sua genesi, fino alla capitolazione di ogni morale

Una storia che usa i segni per rendersi visibile, in mezzo alla freddezza dei personaggi, alla solitudine dei campi e controcampi, all’isolamento dei soggetti dentro una società/quadro cinematografico che li osserva da lontano, indifferente. Molte le rappresentazioni pittoriche presenti ne L’ora di punta, dai quadri astratti che contornano la figura di Catherine, donna illusa e complice della sua stessa illusione, a queli più classici, ritratti e scene di battaglia oscuri, che raccontano di un potere forte, ma sottilmente inquietante.

Il racconto di un male banale, ma spietato, fatto di sguardi e non detti, di mani strette e di mezzi sorrisi, di uno squallore difficile da accettare, che non si può vedere. Vincenzo Marra insegue i silenzi di questa vita “normale”, le bassezze senza voce di un piccolo uomo ritratto come un mostro letale, ma non solitario: sebbene il film sia poco affollato di parole, colpi di scena e eccitazioni attoriali, il mondo di Costa è un crocevia di traffici illegali, di uomini e donne presi nel gorgo della falsità e dell’imbroglio. E un anello, segno di fedeltà e dedizione, diventa così il simbolo di una perdita totale di valore.

Il significato della fiction di Alberto Brumana ****

C’era un tempo in cui la fiction, o meglio la finzione, era l’elemento base di un film. “Altrimenti si tratta di un documentario”, si sarebbe detto. Oggi, con fiction e documentario che si fondono sempre maggiormente, andando a formare nuovi generi, il termine stesso fiction ha assunto un nuovo significato. Oggi sta a indicare un film prodotto per tv, quello che un tempo si chiamava sceneggiato, e che ha come elementi cardine il basso budget e una ricerca della quantità piuttosto che della qualità.

Questo preambolo vuole spiegare perché da più parti si sia definito il terzo film di Vincenzo Marra un prodotto da fiction. Dalla prima inquadratura non si può fare a meno di notare la piattezza della sceneggiatura, della recitazione e della messa in scena. I dialoghi sono ridotti all’osso (ben oltre il voluto “lavoro per sottrazione” dell’autore) e prevedibili, la recitazione, a parte l’affascinante Fanny Ardant che sembra finita lì per caso, è a dir poco monocorde (Michele Lastella e Giulia Bevilacqua provengono dalla vituperata fiction – e tutto torna), la messa in scena non ha mai un guizzo o una svolta, finendo per rendere inutile anche il lavoro di un maestro come Luca Bigazzi alla fotografia. Il tema trattato è forte, ma se la sua rappresentazione è debole finisce per passare in secondo piano.

È un peccato, perchè Marra ha talento, e lo ha dimostrato con Tornando a casa (2001) e Vento di terra (2004). Abbandonando però i racconti di personaggi sconfitti e problematici per disegnare il ritratto di un vincente senza morale, sembra aver perso il filo del discorso.

Curiosità
Pare che Antonio Tajano, presidente degli eurodeputati di Forza Italia, si sia scagliato contro il film di Marra, considerandolo un lavoro che discredita la Guardia di Finanza.

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