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Come sparare sulla Croce Rossa?

Come sparare sulla Croce Rossa?

Michael Moore è senza ombra di dubbio il documentarista più noto e chiacchierato del panorama mondiale. L’uscita di un suo film apre dibattiti, fa discutere articolisti e polemisti di mezzo mondo. L’uomo e regista Moore è detestato a prescindere da coloro che amano il liberismo made in Usa, mentre viene amato e osannato da coloro che negli Stati Uniti vedono il male assoluto. Come avrebbe detto Giorgio Gaber in una sua canzone, Michael Moore è di “sinistra” e come tale la sua visione del mondo è personale, faziosa, schierata, manipolatoria (la scelta degli aggettivi rappresenta invece una progressione critica che vira invece verso la “destra”).

Che quella di Michael Moore non sia la verità ma “una” verità è ovvio. Sarebbe anzi molto poco saggio pensare che un qualsiasi documentario possa raccontare la verità assoluta, quando anche solo l’argomento di analisi (o più semplicemente ciascuna inquadratura) richiede una scelta di punto di vista che necessariamente si rivela ideologica.
Moore sceglie di introdurre il tema con un lungo incipit dedicato non tanto ai disagi di chi non può permettersi un’assicurazione sanitaria, ma a chi pur avendo pagato si vede rifiutare le cure necessarie perché non coperte dalla polizza. Le assicurazioni sono in primo luogo delle aziende e come tali rispondono alle leggi di mercato. Il malato non è un cliente, è un costo, e come tale i medici e gli esperti hanno il compito principale di tagliare le spese superflue aggrappandosi a ogni minimo cavillo. Il paradosso è che il medico che dovrebbe curarti coincide con colui che ti condanna a morte in cambio di incentivi monetari e premi aziendali. Lo scandalo non esiste perché è dai tempi di Nixon che il sistema arricchisce le tasche di medici, assicuratori e parlamentari (sia repubblicani che democratici).

Moore, con il suo corpulento fisic du role si getta alla ricerca di informazioni per verificare le condizioni del sistema sanitario di altri stati, dalla Francia a Cuba: scopre con evidenziata sorpresa che il sistema sanitario pubblico funziona. Gioca a fare il finto tonto che si stupisce quando viene a sapere che nessuno deve pagare per la nascita di un figlio, che un ragazzo nato e cresciuto negli Stati Uniti si sia trasferito in Francia dopo aver scoperto di essere malato di tumore, che esiste un pendolarismo tra gli Usa e i pronto soccorso del Canada, che non negano medicamenti nemmeno agli stranieri.

Lo scandalo, forse anche la considerazione più deprimente, è che il popolo americano creda che la minaccia di una socializzazione della sanità possa minare la democrazia del paese, solo perché chi governa la pensa in questo modo. L’equazione è: Sanità pubblica = Socialismo = Morte + distruzione + terrore. Peccato che si aprano gli occhi solo nel momento della malattia e del bisogno.
Emblematico è il caso della possibile futura candidata democratica alla Casa Bianca, che in qualità di First Lady aveva intrapreso una dura lotta per riformare il sistema sanitario; qualcuno che siede nella stanza dei bottoni, non gradendo la cosa, ha obbligato la signora Hillary Clinton a rientrare nei ranghi e a non occuparsi più di Sanità in cambio di cospicui finanziamenti elettorali. Un’altra bocca tappata.
Solo questo, del film di Moore, mi basterebbe per votare Barack Obama alle prossime elezioni. Peccato io non sia americano, ma almeno potrò andare liberamente al pronto soccorso dopo aver ripetutamente sbattuto la testa sul muro.

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