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cultura dell'immagine e della parola

Odio, amore e 500

Agenzia: Leo Burnett
Direzione Creativa: Riccardo Robiglio, Paolo Dematteis
Musica: Back to life, Giovanni Allevi dall’album “Joy” (2006)
Voce Narrante: Ricky Tognazzi

Parto dal mio emisfero sinistro, polo del raziocinio, e razionalmente dico: il nuovo spot istituzionale di Fiat è un amarcord (nel senso letterale del “a m’arcord”) che gioca a nascondino con la memoria. Ripercorre spezzoni di vita italiana, mostrando volti e situazioni note, facendoci spremere le meningi a caccia di flash back da telegiornale e stralci di film. Una intima soddisfazione: “Ah, quello so chi è…”, “ma quella… è piazza Fontana!”. E l’“Uomo della televisione” è contento, sente di essere un diligente ex alunno, che bazzica storia, politica e cinefilia. Ma non basta: il mio ipercritico lobo sinistro continua a suggerirmi spunti. In azienda hanno detto: “La strategia per questa vettura – la nuova Cinquecento – sarà proprio il senso della misura, perché il suo posizionamento ‘everyday masterpiece’ descrive efficacemente il senso che vogliamo associarle: un oggetto unico, ma fondamentale per chiunque”.

Di concerto con la mia parte analitica, mi domando: misura? Cosa c’è di misurato nell’usare eventi dolorosi della nostra storia, come ad esempio le vicende di Falcone e Borsellino, shakerarle con Papi, Presidenti della Repubblica e personaggi del cinema? Un cocktail di storia e advertising davvero irritante. E ancora, dato l’udito fino del mio attento emisfero sinistro, ecco che nella parte finale dello spot ascolto. “In tutto questo alcune persone, alcune cose (…) ci sostengono nell’esprimerci e nel realizzarci. Ci legittimano nell’essere autentici e veri. E se significano davvero qualcosa ispirano il modo in cui il mondo cambia”.

Percepisco un accento iperbolico: una macchina mi legittima come persona? Mi sostiene? Cambia il mondo?! Dubito. E soprattutto mi imbarazza che sia detto così scopertamente: persone e cose sono un tutt’uno (ma che siamo diventati, cyborg?). Irritata e delusa, la mia parte razionale conclude pensando all’incoerenza di questo spot che, auto-proclamatosi istituzionale, alla fine, con un colpo di coda, infila l’immagine della Cinquecento, la fa pavoneggiare, e la dissolve quindi nel marchio Fiat.

Ma così come lo yin ha lo yang, allo stesso modo il mio lobo critico convive e litiga in perfetto stile Sandra e Raimondo con l’emisfero destro, sede delle emozioni. In quest’area sono successe le seguenti cose: 1) Alfredino, l’entusiasmo e lo stupore del suo volto mi hanno commosso; 2) la musica di sfondo – opera di Allevi – intensa e profonda, in splendida sintonia con le immagini mi ha visceralmente emozionato; 3) la sintesi finale dei marchi Fiat, dissolti l’uno nell’altro, mi ha raccontato in pochissimi frame la storia di un paese, il mio: ho visto gite fuori porta, quindicenni ancora con i calzettoni, cotonature anni ’60; ho visto fotografie della mia famiglia, della prima auto di mio padre, prima fusa e poi ricomprata. Mi svelo del tutto: due lacrime senza vergogna mi sono rotolate dalla guance. Ecco perché, divisa tra ratio ed emozione, non posso fare altro che dire: questo spot speculativo è odioso, ma funziona.

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